03 febbraio 2021

“Progetto Nocciolo: buona partenza nonostante la pandemia”

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Terremerse, cooperativa multi filiera dell’agroalimentare che oggi aggrega oltre 5.600 soci, ha avviato un importante progetto per la messa a dimora di 600 ettari di nocciolo in cinque anni in Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria. Myfruit.it ha interpellato il responsabile di questo progetto, Marco Babini, per fare il punto della situazione.

Quando è partito il Progetto Nocciolo di Terremerse e come sta andando?

Abbiamo iniziato nel giugno scorso, in piena pandemia, dopo oltre due anni di studi preliminari su questa coltura. Considerando appunto questa situazione, siamo al momento molto soddisfatti per come stiamo procedendo. A dicembre 2020, erano infatti già stati messi a dimora 20 ettari tra le province di Ravenna e di Forlì-Cesena. L’obiettivo, rimane sempre raggiungere i 600 ettari nel giro di cinque anni.

Perché la decisione di puntare sul nocciolo?

Per offrire una valida alternativa ai nostri soci in termini di diversificazione colturale. Faccio qualche esempio: in Veneto si stanno ancora riscontrando problemi con la moria del kiwi, in Romagna la peschicoltura si è molto ridimensionata, i seminativi non stanno rendendo molto. In simili contesti il nocciolo può, appunto, rappresentare una valida alternativa, perché non richiede importanti investimenti inziali (circa 2.000 euro a ettaro per un frutteto sono davvero pochi, con la possibilità che offriamo tra l’altro di rendicontare fino al 50% delle piante con contributi Ocm), non richiede oneri di palificazione, impianti anti-grandine, eccetera. Ci vuole in sostanza solo la normale preparazione del terreno.

Questo progetto rappresenta una novità assoluta per voi?

Per molti dei nostri soci sì, ma attualmente in Italia ci sono di fatto tre poli corilicoli: il Piemonte, il Lazio e la Campania. Come Terremerse, siamo presenti in diverse regioni, in alcune delle quali la corilicoltura non è affatto sconosciuta. Siamo infatti in Emilia Romagna, in Lombardia (provincia di Mantova), in Veneto, nelle Marche (zona del Pesarese), in Umbria (provincia di Terni) e nel Lazio (Viterbese). In Umbria e Lazio il nocciolo è tutt’altro che una novità. Ora, con questo progetto, vogliamo proporlo anche al centro-nord, dove finora è sostanzialmente mancata la cultura di questa coltivazione, perché spesso relegata a “pianta di serie b”.

Però è una coltura che richiede il suo tempo…

Senz’altro, ma meno di quello che si possa pensare. Nei primi tre anni di impianto si non produce nulla, dal quarto anno comincia già a vedersi qualcosa, dal sesto-settimo anno si ottiene già una produzione lorda vendibile interessante.

Il valore aggiunto che può dare Terremerse a questo progetto?

Il fatto che proponiamo una filiera praticamente già costruita, a disposizione dei nostri soci. Oltre a essere già orientati verso la meccanizzazione e il miglioramento delle performance produttive, come avviene in altre regioni corilicole, abbiamo intenzione di realizzare a Ravenna un impianto di pre-pulitura (per togliere ciottolame e altro) ed essicatura, allo scopo poi di inviare il prodotto (non sgusciato) all’industria.

Quando parla di industria, ha già in mente dei nomi?

Non è un segreto che intendiamo interagire direttamente con la Ferrero per quanto riguarda le nostre nocciole.

Quali varietà proponete ai soci che intendono seguire questo progetto?

Tendenzialmente proponiamo la Tonda di Giffoni e la Tonda Gentile Romana nei territori di pianura e la Tonda Gentile Trilobata negli areali pedecollinari e collinari.

Novità all’orizzonte?

Ci sono prospettive interessanti anche sul 2021. Per esempio, stiamo lavorando per una collaborazione su questo progetto con la Fondazione Fratelli Navarra di Ferrara, azienda rinomata soprattutto nel comparto delle pomacee. L’idea è  sviluppare, assieme a loro, la corilicoltura nel Ferrarese. E da loro dovremmo realizzare un campo sperimentale sul nocciolo.

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