A conclusione del summit internazionale Cop26 sul clima che ha visto la partecipazione di una delegazione del circuito Fairtrade, la presentazione di una petizione firmata dalla società civile e delle richieste di 1,8 milioni di contadini del Sud globale, Mary Kinyua, capo della delegazione e rappresentante di una serra kenyana, ha commentato: “Il risultato di COP26è per molti versi un ripiego, una conclusione deludente per un vertice in cui avevamo riposto molte speranze, e dai cui avremmo voluto vedere l'inizio del risanamento del nostro pianeta.
“Come agricoltori, in rappresentanza di 1,8 milioni lavoratori Fairtrade che già vivono la realtà devastante del cambiamento climatico, siamo venuti a Glasgow con i migliori propositi, sperando che i leader mondiali ascoltassero le nostre voci e mantenessero le loro promesse. Il nostro messaggio – cioè di assicurare che l'aumento della temperatura del pianeta rimanga entro 1,5 gradi e che i costi per affrontare il clima che cambia non siano ingiustamente a carico di noi che abbiamo fatto meno per causarlo – non avrebbe potuto essere più chiaro”.
“È difficile capire perché la prospettiva di un aumento della temperatura di 2,4 gradi non abbia spinto i governi mondiali a mantenere le promesse fatte a Parigi. Oppure perché la promessa di finanziamento del clima di 100 miliardi di dollari all'anno sia ancora in sospeso. Ed è doloroso vedere che non è stato preso alcun impegno per pagare le perdite e i danni inevitabili che le nostre comunità devono affrontare”.
“Naturalmente abbiamo apprezzato alcune iniziative. La velocità con cui il nostro clima sta cambiando renderà essenziale chiedere ai governi di aumentare nuovamente i propri impegni al Cairo l'anno prossimo, piuttosto che aspettare altri cinque anni. Le promesse sulla deforestazione sono fondamentali per milioni di persone come me, per le quali l'agricoltura è uno stile di vita, e l'annuncio di un “Just Rural Transition Fund” è una mossa incoraggiante. La chiave sarà assicurarsi che questi nuovi fondi siano consegnati come promesso, e che raggiungano effettivamente gli agricoltori e le nostre comunità nei paesi a basso reddito, e rapidamente.
“Gli agricoltori del movimento globale Fairtrade non lasceranno che le cose restino così come sono. Nelle nostre comunità siamo già in prima linea per affrontare la crisi climatica, con la conoscenza e l'amore per la terra che abbiamo come coltivatori e coltivatrici. E sappiamo che dalla nostra parte ci sono buyer, imprese e sostenitori del circuito Fairtrade, che lavorano al nostro fianco giorno dopo giorno per permetterci di fare quello che è nelle nostre possibilità, chiedendo che le promesse vengano mantenute. Noi stiamo già facendo la nostra parte, è ora che i leader facciano la loro”.
Slow Food: l'accordo raggiunto alla Cop26 è deludente
L'accordo a cui sono giunti i leader riuniti a Glasgow per la Cop26 è motivo di profonda delusione. Il documento non può soddisfare le grandi aspettative che la società civile, la comunità scientifica, i giovani e i popoli indigeni avevano riposto nel meeting britannico, considerato l'ultima spiaggia per affrontare in modo deciso la crisi climatica. Secondo Slow Food, si tratta di un accordo ampiamente insufficiente, considerata l'urgenza di agire per contrastare la crisi in atto. Una crisi che colpisce tutte e tutti noi e le cui conseguenze si misurano ogni giorno di più da un punto di vista non solo climatico e ambientale, ma anche economico, sociale, sanitario.
Se, a parole, l'accordo ribadisce l'impegno a limitare a 1,5 gradi centigradi il surriscaldamento della Terra rispetto ai livelli preindustriali (come stabilito in occasione della Cop21 di Parigi, nel 2015), nei fatti gli impegni presi non risultano sufficienti ad assicurare che ciò accadrà. Inoltre, il testo finale della Cop26 risulta indebolito per quanto riguarda il tema della decarbonizzazione (nel documento si parla di graduale riduzione invece che di graduale eliminazione dei combustibili fossili) e non affronta in modo serio e convincente il sostegno da offrire ai paesi più duramente colpiti dal cambiamento climatico.
“Siamo sgomenti per la mancanza di ambizione che emerge dai contenuti dell'accordo – commenta Marta Messa, direttrice di Slow Food Europa – Per alcuni potrebbe essere degno di nota il semplice fatto che sia stato raggiunto un accordo, ma in realtà quanto concordato risulta essere di gran lunga insufficiente considerata la gravità della crisi climatica che stiamo vivendo. Le delegazioni che hanno preso parte alla Cop26 se ne vanno da Glasgow lasciando la Terra sulla stessa rotta verso danni irreversibili al mondo naturale. Slow Food continuerà a lavorare sul tema del cambiamento climatico come ha fatto nei suoi oltre trent'anni di storia: unendo alle attività concrete la forza della propria rete di comunità, cittadini e attivisti di tutto il mondo, esortandoli a esercitare pressione sui decisori politici affinché agiscano immediatamente a ogni livello”.
“La Cop26 di Glasgow ha messo in evidenza il ruolo indiscutibile della società civile e dei giovani rispetto all'accordo di Parigi, che fu un accordo di élite tra politici, tecnici e scienziati. Senza il dibattito e l'enorme pressione che i movimenti giovanili hanno avviato in questi anni, di certo la sfida climatica non sarebbe al centro dell'agenda politica e del dibattito a tutti i livelli come sta avvenendo ora. Il cambiamento climatico è un'ingiustizia anzitutto per loro. Un clima che cambia così rapidamente causa inondazioni, siccità ed eventi atmosferici estremi, e di conseguenza anche migrazioni, carestie, instabilità politica e danni economici. E purtroppo anche queste conseguenze non-ambientali ricadranno sui più giovani” aggiunge Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia.
Secondo Shane Holland, presidente esecutivo di Slow Food nel Regno Unito, “è incredibile come in queste occasioni si continui a non prendere in considerazione il sistema alimentare industriale, che pure rappresenta la seconda causa di emissioni a livello globale. La Cop26 avrebbe dovuto aprire la strada alla transizione verso sistemi alimentari basati sull'agroecologia, quelli cioè in grado di immagazzinare il carbonio nel terreno, proteggere la biodiversità, ristabilire la fertilità del suolo e favorire maggiori rese nel tempo, assicurando in questo modo la sopravvivenza delle aziende agricole e alimenti sani per tutti. Non ci può essere una vera transizione verso sistemi alimentari sostenibili senza una politica di finanziamento dei sistemi agroecologici che segua obiettivi vincolanti, cosa che nella dichiarazione finale della Cop26 manca completamente”.
Neanche Jorrit Kiewik, direttore esecutivo di Slow Food Youth Network, nasconde la sua delusione: “La Cop26 era un'occasione fondamentale per la mia generazione, ma i nostri leader non hanno saputo guidarci nella giusta direzione. Mi sconvolge la mancanza di volontà dei decisori politici di rendere il mondo un luogo vivibile per le generazioni di oggi e di domani“.
Fonte: Slow Food