19 aprile 2016

Asparagi. Storia, origini, ricette

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Della famiglia delle liliacee, per capirci dei gigli o dei mughetti, i nostri asparagi prendono il testimone, in questa staffetta immaginaria fatta di stagioni, direttamente dai carciofi che hanno finito la loro corsa stagionale, durata tutto l’autunno e l’inverno.

Uniti per tradizione alla Pasqua e alle uova, dividono questa lunga Italia del burro e dell’olio, del grano tenero e di quello duro, anche in quella degli asparagi bianchi tutti coltivati entro la sponda fredda dell’Eridano, e in quella dei verdi tutti coltivati sotto la sponda meridionale del Grande Fiume.

Ed è così che seguendo il Po, andando verso mare alla nostra sinistra, dal Piemonte al Veneto si coltivano per tradizione solo asparagi bianchi; alla destra (eccezion fatta per la Liguria dove gli asparagi sono viola/rossastri ma solo da crudi, per poi liberare il loro pigmento verde in cottura), gli asparagi (isole comprese), sono solo verdi.

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Asparagi bianchi e verdi. Credit foto Opo Veneto

Un po’ di storia

Tutto nasce tra il Tigri e l’Eufrate, forse il Paradiso Terrestre, dove tutto era perfetto e buono a patto di non disobbedire, e qui forse avrebbero dovuto capirlo subito i nostri primi due avi che se avessero disobbedito, non lo avrebbero fatto a uno qualunque, e fu così che la disobbedienza (l’aver mangiato un solo frutto), creò il male e per coerenza tutto ciò che era cattivo, condannando l’essere umano a dover scegliere per l’eternità tra il bene e il male. Vi chiederete cosa c’entra tutto ciò con gli asparagi: fu che assaggiati (senza altre ritorsioni per altro), i nostri asparagi furono considerati cosa molto buona per il gusto e molto proibita per la “forma” e non sapendo cosa catturò l’uomo di allora, se il sapore o il proibito, gli asparagi cominciarono il loro lungo viaggio.

Arriveranno in Egitto, dove la bella tra le belle (Nefertiti), ne avrà anche nella sua ultima dimora per il grande viaggio nell’aldilà.

E dall’Egitto in Grecia dove un osservatore della natura chiamato Teofrasto, che significa dal “dolce eloquio”, come dirà il suo maestro Aristotele, per primo cercherà di capire i funghi oltre che questi strani prodotti della terra, afrodisiaci per la forma e medicamentosi per l’azione diuretica/ depurativa che avevano sull’uomo.

Plinio il Vecchio

Plinio il Vecchio

Dalla Grecia a Roma, dedicati alla dea della bellezza Venere forse più per aspetto che per sapore, entrarono nelle cucine più importanti della Roma imperiale, tanto che ne parleranno Apicio, Giovenale, Marziale e Plinio il Vecchio. Considerati indispensabili per aumentare la potenza sessuale viaggeranno nelle scorte dei viveri delle Legioni Romane che ne diffusero la coltivazione in Spagna e prima che l’uomo di quei tempi scoprisse che la terra non era un piatto e che Ulisse non era precipitato dopo le colonne d’Ercole, ecco che gli asparagi prenderanno piede in Germania, Olanda e Polonia, per arrivare da ultimi (come accadrà più avanti per la patata), in Francia dove il Re Sole fece erigere un obelisco in onore del giardiniere che riuscì a produrne freschi per tutto l’anno. E sarà sempre un altro grande francese, Napoleone III, ad averne bisogno prima degli incontri amorosi da sostenere con donne avvenenti (un aiutino non fa mai male), tanto da arrivare a rimandarli o a rinunciarci se non si fossero reperiti grossi.

Bianchi, rossi o verdi

Si sa che il bisogno aguzza l’ingegno (frase non mia ma che condivido), e in quel nord Europa tra l’Olanda e Francia dove il freddo e il buio del Medioevo segnava terra e uomini, si decise per proteggerli, di coprire quei turioni durante la crescita ed ecco che per “magia”, là dove con questo termine l’uomo ha sempre spiegato ciò che non comprendeva, gli asparagi non facendo fotosintesi poiché non producevano clorofilla, rimanevano bianchi, dolci al sapore e non erbacei, mentre se solo si lasciava la punta alla luce da subito cominciava una blanda pigmentazione violacea, cambiandone il sapore da tendenzialmente dolce a leggermente amaro ma mai erbaceo.

Ecco come abbiamo seguito i nostri asparagi partiti dal Giardino dell’Eden in quella terra di mezzo dove forse tutto è nato, li abbiamo visti viaggiare da verdi a fianco degli eserciti romani e ritornare dopo tanti secoli sempre nelle bisacce dei soldati (questa volta napoleonici), vestiti di bianco in tutto il nord Italia, a unire sotto un tricolore di sapori fatto tutto di asparagi, l’Italia nelle sue straordinarie e molteplici biodiversità.

Gli asparagi a tavola

Alla voce “erbaggi e legumi” Pellegrino Artusi dice che questo erbaggio (l’Artusi parla di “sparagi”), prezioso non solo per le sue qualità diuretiche e digestive, ma anche per l’alto prezzo a cui si vende (già allora!), lessato che sia si può preparare in diverse maniere, ma la più semplice è quella comune di condirli con olio finissimo e aceto o agro di limone.

Era il 1891 quando Pellegrino Artusi consigliava nella sua prima edizione del celeberrimo “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene” questo modo di cuocere e mangiare gli “sparagi”, una ricetta ancor oggi da considerarsi il modo base per gustare questi ortaggi.

Chi scrive però è veneto, e per me gli asparagi sono solo bianchi. Vorrei quindi congedarmi da chi leggerà questo raccontino sull’asparago, invitandoli a provare un risotto agli asparagi bianchi veneti, dove tutto il turione, a dispetto del colore, diverrà commestibile senza nulla scartare. Seguite allora questi pochi accorgimenti, per un piatto dove ogni chicco diverrà sapore e tradizione veneta.

Ricetta. Risotto agli asparagi bianchi veneti

  1. Dopo aver lavato i nostri asparagi, tagliateli almeno per 3 cm alla base la dove il turione è più tenace, in rondelle di un centimetro l’una.
  2. Ora, con le nostre rondelle di asparago, un cipollotto novello, una costa di sedano e una carota faremo un brodo vegetale, poiché come diceva il grande Escoffier, la magia parte dal brodo e mai come in questo caso saranno i nostri asparagi a pezzi, quelli del fondo del turione, che forse non saremmo riusciti a mangiare, che diventeranno fondamentali per il nostro risotto.
  3. Un brodo vegetale che dovrà sobbollire per circa un’ora con sale q.b. e una giusta quantità olio Evo. Assaggiamo ora il nostro brodo: saprà di asparago, ed i pezzi molto cotti, ora tenerissimi entreranno (solo loro), a far la parte del protagonista in questa preparazione.
  4. Il nostro brodo di asparagi è pronto e sobbolle pigro sul fuoco. Prendiamo una pentola adatta per cuocere un risotto, mettiamo a soffriggere in un po’ d’olio Evo, un cipollotto novello e un paio di asparagi tagliati sottili: lasciateli appassire nell’olio a fuoco tenue, aggiungete il riso – la tradizione per un riso alla veneta prevede un vialone nano, ma voi potrete usare anche un Carnaroli -,  tostatelo, salate q. b. e sfumettate con una Ribolla del Collio Metodo Classico che avrete cura di richiudere subito con il tappo adeguato per non perdere le bollicine, ma non senza averne bevuto un po’ per capire cosa ci aspetterà e anche perché il momento lo richiede.
  5. Mescolate adagio e quando il vino si sarà fuso al riso, al suo amido all’olio e agli asparagi con il cipollotto, cominciate a bagnare con il brodo e i suoi pezzi di asparago, mescolate poche volte per distribuire il brodo  con cui avrete coperto il riso e cuocete per diciotto minuti avendo cura di aggiungere brodo e con i pezzi di asparago quando il riso li chiederà.
  6. Siamo alla fine, i diciotto minuti canonici sono trascorsi e l’ultimo mestolo di brodo di qualche minuto fa si è completamente fuso nel tutto: spegnete il fuoco, aggiungete un pezzo di burro e una manciata di Parmigiano di media stagionatura (non siate parchi).
  7. È un momento importante per il nostro risotto, vale a dire la cosiddetta “mantecatura”, riuscire a inglobare questi grassi in un tutto tendenzialmente magro, aggiustate se servirà (e potrete farlo solo ora), un po’ di brodo se il risotto sembrasse troppo asciutto e tutta la massa dovrà risultare morbida, “cicciosa” tanto che appena versato picchiettatando da sotto il fondo del piatto, il risotto si allargherà come un’onda che raggiungerà il bordo del piatto, la sua riva, gustatelo subito, ogni chicco sarà poesia e beveteci quella Ribolla che incontrerà il risotto per un matrimonio destinato a durare una vita.

Invitate anche un vostro amico o più di uno che soffrono di celiachia, se fatto così è un piatto senza glutine.

Un brindisi alla vita.

Maurizio Corrarati, grande appassionato di cucina e vini, di materie prime e territori, lavora nel mondo dell’ortofrutta da sempre con il suo banco in svariati mercati di Milano. Sommelier, è docente nei corsi per conseguire l’attestato presso l’Associazione Italiana Sommelier della Lombardia.

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