Ha una resa minore e per questo da decenni è stato marginalizzato ed espulso dalle dinamiche commerciali. Una storia come tante della modernizzazione agricola che ha industrializzato l'agricoltura e dato reddito e benessere a tante famiglie. L'altra faccia della medaglia è stata la riduzione della biodiversità e la scomparsa di varietà antiche. Oggi riscoperte grazie ad una maggior valore attribuito alle varietà autoctone. Una storia interessante è quella del cappero di Selargius in provincia di Cagliari.
L'agricoltura della biodiversità a pochi passi dal centro urbano più grande della Sardegna
Selargius è l’ottava città più popolosa della Sardegna. In cinquant’anni ha raddoppiato la popolazione, ora conta 30mila abitanti, segno dell'urbanizzazione e l'affermarsi del settore terziario. Negli interstizi della contemporanea espansione urbanistica è rifiorita la coltivazione del cappero di Selargius. Un'azione di valorizzazione che portato alla nascita di un presidio slow food dedicato. Si conserva la memoria storica agricola, alimentare e attecchisce il seme di una nuova filiera economica.. Seppure in formato mini, ma importante a livello comunitario.
Marco Maxia, il protagonista
"Siamo vicini alla città, in un'area di espansione urbanistica sottolinea Marco Maxia. Uomo di 48 anni, da venticinque coltivatore di capperi e referente dei produttori del presidio Slow Food del cappero di Selargius, dove ha deciso di tornare a vivere dopo un periodo di vita a Londra.
Dalla metropoli britannica alla scoperta di una varietà abbandonata. "In campagna, senza soldi e senza terreno, è difficile iniziare da zero – ammette – ancor di più se si è vicini alla città. Qua i terreni costano tanto: non per ciò che vi si può coltivare, ma per quanto si può costruire".
Maxia scopre questi cespugli "verdissimi, pimpanti, pieni di fiori benché palesemente abbandonati". Capperi di una varietà tradizionale, molto diffusa e utilizzata in passato e coltivata spesso insieme alla vite e all’olivo.
Le caratteristiche originali
Quella di Selargius è una pianta di capperi molto particolare: "A differenza della gran parte delle altre piante di cappero conosciute che sono striscianti, la nostra è un alberello, cioè ha un portamento eretto. Negli esemplari di ottanta o cent’anni raggiunge il metro e mezzo d’altezza" spiega l'agricoltore.
L’altra particolarità del cappero di Selargius riguarda i boccioli, cioè i capperi veri e propri: sono più piccoli, più vuoti e hanno quindi un peso specifico notevolmente inferiore agli altri, di circa un terzo come si legge nella descrizione offerta da Slow Food.
La concorrenza nordafricana
"Negli anni ‘80, quando sul mercato cominciarono ad affacciarsi i capperi nordafricani più grandi, questa caratteristica venne considerata un difetto: per raccogliere un chilo di capperi nostrani ci volevano quasi duemila boccioli, rispetto agli ottocento di altre varietà. Così le piante vennero abbandonate".
Il fatto che siano pressoché vuoti ne rende più immediato l’utilizzo in cucina: il risciacquo dal sale utilizzato per la conservazione è rapido, non serve un lungo ammollo e i capperi ne guadagnano in sapore.
Un capitale di 600 piante
L'agricoltore è riuscito a riportare alla produzione circa seicento piante, tutte di recupero e sparpagliate in micro appezzamenti, molti dei quali presi in gestione o in affitto: "Il cappero è orgoglioso e testardo, è sopravvissuto a venti o trent’anni di abbandono. Per far rivivere la campagna è necessario, altrimenti i terreni incolti diventano più facilmente preda della speculazione. La parola presidio ci sta proprio bene – conclude – anche perché un terreno ben lavorato protegge dagli incendi".
Il nuovo presidio Slow Food conta sull’impegno di un altro produttore, Enrico Dentoni, con l’auspicio è che altri proprietari di piante ricomincino a prendersi cura dei capperi di famiglia.
Una sorta di affido come sottolinea Fabrizio Mascia di Slow Food Cagliari, referente Slow Food del presidio, "un tempo avere qualche cespuglio di capperi, nel vigneto o tra gli ulivi, era la normalità: se all’inizio dell’Ottocento della pianta si conoscevano gli usi medicamentosi, ben presto si sono scoperte anche le potenzialità in cucina. Guai a perderle un’altra volta!".
"Come Slow Food Cagliari ci siamo attivati per avviare il presidio, convinti che sia importante adoperarsi in prima persona per conservare la biodiversità del nostro territorio. Aiutare i coltivatori di cappero di Selargius vuol dire conservare una cultura, la bellezza di un paesaggio agrario unico, supportare un’agricoltura sostenibile anche contro tutte le speculazioni sul territorio agricolo".
Una bella storia, ma alla Sardegna serve un'agricoltura remunerativa per gli agricoltori
Belle parole, bella iniziativa ma perché non resti solo una narrazione piacevole da leggere, la Sardegna ha gravi problemi di desertificazione come si legge nel sito della Regione, bisogna investire seriamente sulle aziende agricole. Fare in modo che producano reddito e lavoro di qualità. Senza dimenticare la sostenibilità ambientale. Ed evitando le crociate e l'abuso del termine speculazione su innovazioni come l'agrivoltaico che permettono la simbiosi tra produzione agricola ed energetica, pulita soprattutto.
Solo con prospettive economiche si può evitare lo spopolamento delle campagne.