07 marzo 2024

Domani è l’8 marzo, qualche dato in agricoltura

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Il 25% delle agricoltrici è laureato, la metà ha attività multifunzionali (vendita diretta, agriturismo, trasformazione dei prodotti, fattoria didattica e sociale), il 60% pratica attività green e/o l’agricoltura biologica. È quanto emerge da una analisi di Donne Coldiretti su dati del Registro delle Imprese divulgata in occasione della festa dell’8 marzo.

Sono quasi 200mila le imprenditrici che hanno puntato sul settore agricolo abbattendo così barriere e pregiudizi e portando in campo un nuovo protagonismo tutto al femminile.

Il risultato è che oltre un’azienda agricola italiana su quattro (28%) è oggi guidata da donne con una presenza che sta rivoluzionando il lavoro nei campi, dove sono capaci di spaziare dall’allevamento alla coltivazione, dal florovivaismo all’agriturismo, dalla trasformazione dei prodotti alla vendita diretta.

Le Under 35 puntano sull’innovazione

Da segnalare anche la quota giovane – sottolinea Coldiretti – con circa 13mila aziende femminili guidate da ragazze under 35 che hanno puntato soprattutto sull’uso quotidiano della tecnologia. Il rinnovato fascino della campagna per le donne trova riscontro nella comune convinzione che quello dell’agricoltura è diventato un settore capace di offrire e creare opportunità occupazionali e di crescita professionale.

Sicilia in primis

Le produttrici sono presenti in tutto il territorio italiano e la regione con il maggior numero di imprese femminili in assoluto è la Sicilia, con più di 24mila imprese di donne, seguita da Puglia e Campania, che vantano rispettivamente più di 23mila e quasi 20mila aziende rosa. Poi tocca a Piemonte e Toscana.

Secondo l’indagine condotta da Donne Coldiretti le imprenditrici agricole sono giovani e con un’alta professionalità, tanto che una su quattro (25%) è laureata, peraltro sempre più spesso non in indirizzo agrario. Non a caso quasi la metà delle domande di primo insediamento in agricoltura delle misure dedicate agli under 40 provengono da ragazze.

Oltre il 50% delle donne in campagna svolge più di una attività connessa alla produzione primaria, soprattutto vendita diretta in azienda, agriturismo e trasformazione di prodotti agricoli. Il 60% delle donne nelle loro aziende ha poi scelto di dedicare parte della produzione al biologico o al biodinamico e di operare per una filiera di qualità attenta alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità e delle risorse naturali, del paesaggio e del benessere animale.

“In un settore a lungo considerato prerogativa dell’uomo – afferma Mariafrancesca Serra, responsabile donne Coldiretti – la presenza femminile fa parte della nuova sfida sociale, per le tante donne che amano abbattere barriere e pregiudizi e guardano al futuro armate di un grande ed importante bagaglio culturale ed esperienziale. Donne che vedono nell’agricoltura il nuovo volano per la propria realizzazione professionale. E’ per accompagnare questo percorso stiamo lavorando per superare le tante difficoltà che incontrano le imprenditrici in campagna, soprattutto quelle più giovani, a partire, ad esempio, dalla scarsa tutela soprattutto nell’ambito della maternità dove il sostegno è davvero irrisorio e non riesce a coprire i costi di un’altra persona, visto che il lavoro agricolo non si può certo fermare”.

Cia: donne, approccio plurale e multifunzionale

La visione femminile dell’agricoltura deve tornare protagonista e continuare a crescere. Già ora le 200mila imprenditrici italiane sono in prima linea per difendere il settore quale asset strategico dell’Italia. Cancellare le donne dell’agricoltura dalle politiche nazionali ed europee significa rinunciare completamente a un approccio plurale e multifunzionale, necessario a traghettare nel futuro il comparto e il Paese. E’ la posizione di Donne in Campo-Cia.

Oggi le donne non solo sono assenti da provvedimenti dedicati nel Pnrr e nella Pac, ma sono state escluse dagli incentivi ad hoc della misura “Più Impresa”, non rifinanziata dall’ultima legge di Bilancio, e colpite dal netto peggioramento di “Opzione donna”. Anche il Fondo Impresa Donna ammette agli stanziamenti le imprenditrici di tutti i settori, compreso quello della trasformazione alimentare, ma tiene fuori la produzione agricola.

“Le agricoltrici risultano così fortemente penalizzate e discriminate nei confronti delle colleghe di altri comparti -spiega la presidente di Donne in Campo-Cia, Pina Terenzi – Stessa situazione con la Politica agricola comune dell’Ue, che prescrive regole uguali per tutti piuttosto che valorizzare le differenze garantendo pari opportunità”.

Con il risultato che “a fronte di una grande attenzione ai temi femminili sul fronte mediatico, le azioni concrete sembrano andare in un altro verso”.

Tuttora alle agricoltrici, come a tutte le lavoratrici autonome, viene riconosciuta solo la maternità obbligatoria, ma con un’indennità economica insufficiente e non sono coperte né la maternità a rischio né il congedo parentale per assistere familiari con disabilità. Inoltre, continua a non essere valorizzato e supportato da politiche concrete il lavoro delle donne nelle aree rurali e interne, mancando adeguati servizi sanitari e scolastici, così come un ammodernamento delle infrastrutture fisiche e digitali.

“Ma soltanto lavorando su politiche più eque e garantendo la sinergia tra più modelli di agricoltura – osserva Terenzi – si potrà uscire da una crisi che ha visto più che dimezzato il numero di aziende negli ultimi 20 anni. Il nostro Paese non ha bisogno di meno agricoltura. Ha bisogno di più agricolture, a partire da quella femminile”.

E in ortofrutta? Ne parliamo domani. Letteralmente, nel numero di domani.

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