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05 aprile 2025

Gdo in Italia, la fotografia di un grande melting pot

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Ci sono le cooperative, di consumatori e di dettaglianti, che al loro interno includono altre cooperative e migliaia di imprenditori locali e soci, piccoli e grandi. 

Ci sono le unioni volontarie e i consorzi della cosiddetta Do (distribuzione organizzata) che mettono insieme, sebbene ognuno con una propria identità e più insegne, imprenditori dislocati da nord a sud, isole comprese, specializzati in più formati e spesso anche in concorrenza tra di loro. 

Ci sono i discount che fanno un po’ paura a tutti e non giocano più in un campionato a parte, tanto che la loro quota di mercato (23,7%) è cresciuta di 11 punti percentuali in 14 anni ed è arrivata a lambire quella degli ipermercati (25,1%), la cui emorragia invece non si arresta. 

Infine, ci sono i battitori liberi, in concorrenza con tutti gli altri e che vanno avanti in modo indipendente, il più famoso dei quali è leader, quasi irraggiungibile, come fatturato al metro quadro, tanto da essere considerato un’eccellenza anche a livello internazionale.

Raccontare la grande distribuzione, organizzata o meno, a chi dall’esterno magari ne ha un’idea sommaria è quasi più complicato che fare la storia della galassia di partiti che hanno animato la sinistra italiana dal dopoguerra a oggi. Persino l’ultima edizione dell’Osservatorio che Mediobanca gli dedica, in un paragrafo dedicato all’assetto di Coop e Conad, titola ironico: “Distribuzione organizzata o complicata?”.

Questa eterogeneità di governance e modelli operativi che porta a un’inevitabile frammentazione – i cinque top player, compresa la Do, arrivano al 57% – è un dato di fatto ormai storico della grande distribuzione nostrana, quasi forse inevitabile, considerando le difficoltà logistiche di un territorio lungo e stretto e dove ogni 10 chilometri cambiano le abitudini alimentare e il carrello della spesa. Questo al netto del fatto che, comunque, secondo molti, a partire dalla stessa Mediobanca, nel prossimo futuro dovremo prepararci a fenomeni aggregativi maggiori. 

Una complessità che è stata ben fotografata non solo dal rapporto, ma anche dalle considerazioni emerse durante le due tavole rotonde che di recente (il 31 marzo scorso, ndr) hanno animato la presentazione a piazzetta Cuccia a Milano, moderate dalla giornalista Cristina Lazzati, direttrice di Mark Up.

Da sinistra: Domenico Brisigotti (Coop Italia), Massimiliano Silvestri (Lidl), Francesco Avanzini (Conad), Maniele Tasca (Selex) e Cristina Lazzati

L’adattabilità della catena di comando 

I top manager di alcuni dei principali gruppi della Gdo italiana, chiamati non solo a raccontare lo stato dell’arte delle loro organizzazioni, ma anche a definire il loro ruolo all’interno delle organizzazioni che sono chiamati a guidare, hanno mostrato una fotografia altrettanto frastagliata tanto quanto lo scenario italiano. 

Francesco Avanzini, direttore generale Conad, si considera come colui che deve “stimolare gli imprenditori a interpretare i nuovi modelli di consumo”. 

Maniele Tasca, direttore generale Selex Gruppo Commerciale, si sente di dover avere anche un ruolo di consulente “di ascolto, sintesi e supporto agli imprenditori, per capire come poter essere loro utile con una visione futura”. 

Domenico Brisigotti, direttore generale Coop Italia, non senza autoironia afferma che ogni giorno deve indossare “un giubbotto antiproiettile” ed essere anche psicologo, considerando che deve mettere insieme sullo stesso piatto il risultato economico di impresa e l’interesse dei soci consumatori.

 Massimiliano Silvestri, presidente Lidl Italia, paragona il suo lavoro a quello di un pianista, che “deve saper interpretare e toccare i tasti nel modo giusto”.

Da sinistra: Giovanni Arena (Gruppo Arena), Giangiacomo Ibba (Crai Secom) e Laura Gabrielli (Magazzini Gabrielli) 

La flessibilità organizzativa delle imprese locali

La capacità di ascolto e mediazione, che si traduce in una grande flessibilità umana e poi organizzativa, sembra essere una dote fondamentale anche per gli imprenditori che fanno parte della Do, spesso chiamati a guidare consorzi che uniscono più anime specializzate in specifici territori o farne parte da attore protagonista. 

Giovanni Arena, amministratore delegato Gruppo Arena e presidente Gruppo VéGé, ha evidenziato il vantaggio di avere una grande conoscenza del territorio nonché di aver “messo nelle periferie le leve decisionali”. 

Giangiacomo Ibba, amministratore delegato Crai Secom, ha elogiato quello che considera una sorta di “modello federale”, nel quale tutti ragionano come fossero una società unica con un business comune. 

Laura Gabrielli, presidente Magazzini Gabrielli, alla terza generazione di una famiglia che iniziò a fine ‘800 con un emporio ad Ascoli Piceno e oggi è al timone di un realtà multiregionale, ha sottolineato come sia stata cruciale la nascita di una holding di famiglia che tutela i soci, nonché l’apertura a manager esterni ai quali affidarsi.

Stili, modelli organizzativi ed esigenze territoriali alquanto differenti, sebbene il campo di gioco sia poi lo stesso per tutti, nonché le sfide e gli obiettivi: digitalizzazione, redditività, investimenti, ma anche aggregazione, reattività e attrattività. Sono parole d’ordine che accomunano le sfide di un po’ tutti.   

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