Le pere superano spesso i 4 euro il chilo, meno dell'anno scorso ma le quotazioni restano sostenute per il consumatore finale. Troppo costose? C'è chi pensa, come in una nota trasmissione televisiva del passato, "Ok, il prezzo è giusto!".
Pensiero di Luca Zanon, grossista operativo al mercato ortofrutticolo di Vicenza dove è anche presidente di Fedagro e autore di un libro sull'ortofrutta, che spiega a myfruit.it la logica di queste dinamiche di mercato e il suo punto di vista sulle quotazioni. Lui crede che i prezzi non siano assolutamente esagerati ma rispondano a una filiera in difficoltà, anche quest'anno nonostante una situazione ben diversa rispetto all'anno scorso. Le pere hanno un costo di produzione sostenuto e non possono essere svendute.
Quali sono i fattori che influenzano la produzione e il prezzo delle pere italiane?
"Iniziamo dai problemi climatici. Le pere sono una produzione di nicchia, che dà il suo meglio in una stretta fascia climatica. Non è un caso che il 65% della produzione italiana si concentri in Emilia Romagna, con le zone tra il Ferrarese ed il Modenese che danno i migliori risultati. Gli ultimi anni, con i nubifragi che hanno subito quei territori e la malagestione degli stessi, la produzione è calata di molto. Un ettaro dovrebbe produrre 35-40 tonnellate, come minimo, per essere remunerativo. Una resa ormai utopica".
"Il clima sfavorevole ha portato anche a problemi di marciume radicale e di morìa degli alberi, problemi che dovremo affrontare nei prossimi anni. I portinnesti sono sempre meno performanti, la maculatura bruna e il colpo di fuoco batterico sono tornati ad acutizzarsi. A questo si è aggiunta la cimice cinese, che ha un effetto devastante sulle colture di pere; a differenza della cimice autoctona è molto più aggressiva e colpisce il prodotto anche quando non è maturo".
"Spesso il frutto sopravvive, ma ne esce rovinato, trasformando il prodotto da prima a seconda categoria, facendo quindi lievitare ulteriormente il prezzo del prodotto di fascia alta (quello che poi, inevitabilmente, i telegiornali inquadrano per fare i servizi sul tema)".
Questo il quadro definito dal cambiamento climatico, gli strumenti per ridurre i danni?
"A ciò si aggiunge la normativa italiana sulla chimica, che non permette di utilizzare prodotti efficaci contro questo insetto. Abbiamo la vespa samurai, che aiuta, e abbiamo le reti antinsetto, ma c’è poco da fare, nulla batte la chimica come efficacia. Chimica che noi italiani non possiamo usare, a differenza dei nostri competitor esteri, sia europei che extraeuropei, molto più liberi. Sia chiaro, non sto dando un giudizio di merito sull’usare o meno la chimica, sto riportando l’evidenza dei fatti: meno chimica equivale a meno produzione e di qualità più bassa".
Solo una questione di dinamiche legate al clima e agli infestanti?
"Molti produttori di pere in Italia sono aziende di piccole dimensioni, il che limita la loro capacità di investire in ricerca e innovazione. Questo può portare a metodi di coltivazione meno efficienti e a una minore capacità di adattamento alle mutevoli condizioni di mercato. Un impianto di alberi da frutto con rete antinsetto può arrivare a costare tranquillamente sopra i 100mila euro ad ettaro, cifre che il piccolo produttore fatica a sostenere".
"Soprattutto in uno scenario dove i costi di produzione, inclusi quelli per fertilizzanti, energia e manodopera, sono aumentati negli ultimi anni. Si cerca quindi di far fruttare gli impianti esistenti, restringendo la produzione esclusivamente al prodotto che rende, con un ulteriore aumento dei costi".
Prezzi sostenuti, la domanda cala?
"La domanda di pere italiane è relativamente stabile, anche se tendente al declino. Le pere sono sempre più un frutto di nicchia, apprezzato da intenditori e consumatori più anziani. La domanda limitata contribuisce a mantenere i prezzi elevati e permette fluttuazioni che su altri prodotti non si vedono".
Calano anche le superfici dedicate al pero.
"Sì, un calo che è legato al fatto che purtroppo non c’è un riscontro economico congruo ai costi ed ai rischi. La marginalità si restringe e quindi si preferisce piantare altro. Molti produttori stanno riducendo la produzione o addirittura abbandonando l'attività a causa delle difficoltà che incontrano. Poco e fatto bene è il mantra".
Nel panorama di questa campagna come si comportano le diverse varietà?
"La William è la pera che si comporta più come una commodity, somiglia alla Golden Delicious delle pere. Ciò è dovuto ad una buona resistenza ed adattabilità della pianta e al contesto produttivo internazionale, che permette di avere prodotto tutto l’anno. E’ anche la varietà tendenzialmente meno costosa, con quotazioni che vanno dall’euro fino ai 2,50".
"L’Abate Fetel è la varietà più speculativa. E’ una varietà delicata, difficile da produrre, molto soggetta al problema della cimice e che soffre molto qualsiasi shock, da quello termico alle bombe d’acqua. Questo ha portato a problemi di produzione importanti negli anni scorsi, che sono proseguiti anche quest’anno, nonostante, tutto sommato, il 2024 sia stato un buon anno a livello produttivo. Le quotazioni vanno da 1,50 a 3,50 euro il chilo a seconda del calibro e della categoria".
"La Decana è la varietà ricercata dagli intenditori. Mantiene prezzi importanti, tra i 2 e i 3,50 euro. La produzione di questa varietà in Italia ha subito un forte rallentamento a causa della cimice asiatica, dell’estrema delicatezza e dalle restrizioni sull'uso di prodotti chimici".
"La domanda proviene principalmente da consumatori abituali o anziani che prediligono il prodotto italiano. Negli ultimi anni si sta affermando nel mercato anche il prodotto olandese: sempre perfetto esteticamente, calibri uniformi, quotazioni sensibilmente più basse. Tuttavia il consumatore italiano è restìo a spostarsi sul prodotto olandese, essendo un consumatore molto interessato alla provenienza nazionale".
Il mercato riscopre varietà della tradizione?
"Anche l’Angelica e la Santa Lucia stanno vivendo un momento di riscoperta; il formato mini che si presta all’utilizzo come snack e l’ottimo sapore trascinano delle varietà della tradizione che negli ultimi anni avevano perso un po’ di smalto. Le quotazioni sono stabili attorno ai 2,50 euro il chilo".
Un confronto con le mele?
"Mele e pere, in questo contesto, sono falsi amici, cioè vengono abbinate pere e mele, ma la produzione è molto più difficile da gestire per le pere rispetto alle mele. Ritorna il tema della fascia climatica e dell’estrema delicatezza della pianta. La mela è più resistente".
"Abate Fétel, Decana e Williams hanno secoli di vita: dove vogliamo andare con piante che sono state selezionate dai nostri trisavoli? Manca una spinta importante sulla ricerca e sul lavoro di laboratorio, necessario per arrivare ad avere varietà più resistenti al clima e agli infestanti attuali".
"Questo lavoro nel comparto di mele c’è, e viene premiato dal mercato, con certe varietà premium come Envy, Samboa, Pinklady, Kanzi, Kissabel. Varietà con sapore eccezionale, molto resistenti, che producono una quantità minima di seconde. E infatti vengono scelte dal consumatore nonostante abbiano prezzi comparabili a quelli della fascia alta delle pere. Ci sono dei tentativi in atto, penso ad esempio ad Angys e Fred, ma siamo ben lontani dall’avere la Pink Lady delle pere".
Puntare sulla ricerca?
"Più che sulla ricerca varietale, però, io credo che il futuro del comparto sia da cercare in Oriente: se fossi un produttore andrei in Giappone ed in Cina e approfondirei le varietà di pera Nashi che utilizzano loro. Credo che il consumo del Nashi in Italia sia sotto dimensionato rispetto al potenziale che potrebbe sviluppare. Inoltre c’è un ibrido interspecifico neozelandese, frutto della fusione di nashi, pero comune e pero da fiore il cui nome commerciale è PiqaBoo, che promette bene, nonostante sia molto difficile da produrre".