13 marzo 2024

Profood: "Il Ppwr non costruisce, distrugge"

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Il faticoso e pare non ancora definitivo accordo tra Consiglio e Parlamento Europeo sulla proposta di regolamento su imballaggi e rifiuti d’imballaggi (Ppwr) è stato salutato da più parti con molta soddisfazione, come il raggiungimento di un punto di equilibrio tra esigenze ambientali, economiche e sociali.

In realtà, basta leggere l’articolo 22 e l’allegato ad esso riferito, dedicato alle restrizioni di immissione sul mercato (leggi “divieti”), per capire subito che, se questo sarà l’esito finale, si tratterà di un duro colpo all’efficienza e alla capacità di penetrazione in Europa della nostra filiera ortofrutticola; di una fonte di costi per la ristorazione collettiva; di una limitazione all’accesso sicuro ed economico a consumi alimentari di massa.

Nonostante l’impegno del Governo italiano e di tanti nostri rappresentanti a Bruxelles, e rovesciando la ragionevole proposta votata dal Parlamento europeo, alla fine i bandi previsti dall’articolo 22 si sono concentrati ed inaspriti solo sugli imballaggi in plastica: e su quelli per il confezionamento di frutta e verdura si è veramente toccato il fondo.

Perché l’articolo 22 prevede la messa al bando degli imballaggi per frutta e verdura non lavorate, per quantità inferiori al chilo e mezzo; ma anche la possibilità, per ogni stato membro, di introdurre specifiche esenzioni per dimostrate necessità di salvaguardia di specifiche varietà; ma anche la possibilità, per gli stati membri, di mantenere in essere ulteriori divieti, se già previsti da leggi nazionali; ma anche la possibilità, per la Commissione Europea, di aggiungere a seguire nuovi divieti.

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i fondamentali del commercio comunitario può valutare se tutto ciò sia sostenibile o meno, e soprattutto quanto alto sia il rischio, se non la certezza, di minare il concetto fondamentale di mercato unico, creando “de facto” tante leggi nazionali per gli imballaggi.

Il prodotto di questa miscela è semplicemente la distruzione del comparto dei produttori di imballaggi per ortofrutta: un’eccellenza italiana a livello europeo, visto che oltre il 70 % degli imballaggi per ortofrutta utilizzati in tutta Europa è prodotto da aziende italiane.

I produttori italiani di imballaggi in plastica per ortofrutta investono da sempre in sostenibilità e sviluppano già un’economia circolare, fatta di crescenti e rilevanti quote di riciclo dei prodotti immessi sul mercato.

Offriamo al mercato imballaggi così all’avanguardia che in molti casi rispettano già oggi non solo i criteri del regolamento 2023/2486 (“Regolamento sulla Tassonomia” che dovrebbe di suo definire attività e prodotti “sostenibili”), ma anche quelli che la stessa Ppwr ha come obiettivo per il 2040 (riciclabilità associata ad un contenuto medio di riciclato pari al 70% del peso dell’oggetto).

Anche grazie alla disponibilità di questi imballaggi efficaci e sostenibili cresce l’export ortofrutticolo italiano.
E anche grazie ad essi a Berlino si mangiano pomodori di Pachino ben conservati, e a prezzi sopportabili.

Non c’è nessun dato oggettivo (nessuno!), nemmeno nello stesso studio su cui si fonda il Ppwr, che dimostri come le alternative permesse dalla Ppwr abbiano un impatto ambientale inferiore agli imballaggi in plastica, anzi!

La grandissima capacità di conservazione degli imballaggi in plastica riduce il deterioramento del contenuto e quindi il rischio di spreco alimentare: un aspetto fondamentale, che un approccio olistico mirato alla sostenibilità globale (contenitore + contenuto) non può trascurare, e che invece il legislatore ha trascurato.

La sostenibilità ambientale non può essere disgiunta da quella economica: gli imballaggi alternativi costano almeno il doppio di quelli in plastica, e questo extra-costo, aggiunto a quello “invisibile” di alimenti gettati perché deteriorati più velocemente, finirà per ricadere soprattutto sugli agricoltori e sui consumatori finali, generando inflazione per molti prodotti, anche di qualità, del paniere alimentare.

Oggi la presenza degli imballaggi plastici, così economici, può fare da deterrente alla crescita dei prezzi delle soluzioni di imballaggio e distribuzione alternative: cosa accadrà domani?

Occorre poi essere chiari: in molti casi, quella che viene considerata la principale e più efficace alternativa alla plastica, ovvero la “carta”, solo carta non è, ma il risultato di un accoppiamento fra carta e plastica!

Questo rende il riciclo degli imballaggi in “carta” (+plastica) più complesso, e conduce ad un degrado del materiale riciclato che non può essere utilizzato per confezionare alimenti, cosa invece in molti casi fattibile con il riciclato plastico.
Anche la sostituzione della plastica con bioplastica, per questi imballaggi, non è una strada realisticamente percorribile: le nostre aziende producono già da anni contenitori in bioplastica, ma in questo caso i limiti di disponibilità, di costo, e ancor più di funzionalità rendono l’alternativa buona solo per quote minime della domanda della filiera agricola.

Va detto peraltro che la grande distribuzione ha già fatto di propria iniziativa una sorta di selezione di quanto debba essere venduto sfuso (oggi circa il 50% del totale del mercato) e ha già introdotto alternative alla plastica laddove realisticamente possibile.

Il Ppwr vieta anche l’utilizzo di contenitori in plastica per il settore Horeca, a partire dai bicchieri in plastica: un radicale inasprimento della recentissima -e non ancora del tutto implementata- Direttiva sulle plastiche monouso (“Direttiva SUP”).
I bicchieri in plastica sono, guarda caso, un’altra categoria di prodotti per cui le aziende italiane sono leader europee: smarcati dalla direttiva ma subito proibiti dal regolamento, dopo che le aziende produttrici hanno investito centinaia di migliaia di euro per adeguare gli impianti di produzione alle astruse richieste della Direttiva in termini di marcatura obbligatoria (il famoso logo della tartaruga).

E tutto questo a fronte di quali benefici ambientali?

È dimostrato che i benefici ambientali che il PPWR (nel suo complesso!) dovrebbe portare sono stati calcolati male e in modo parziale ed arbitrario, e ciononostante quel che ne risulta è irrisorio: in termini di emissioni di CO2, ben meno dell’1% di quanto prodotto ogni anno nella Comunità Europea.

Il Ppwr non porta frutti, ma è il frutto (avvelenato) di un preconcetto ideologico anti-plastica.
Il Ppwr vanifica tutti gli investimenti in sostenibilità fatti dalle nostre aziende.
Il Ppwr cancella oltre 2.000 posti di lavoro italiani, solo considerando i dipendenti diretti delle nostre aziende.
Il Ppwr ridurrà la competitività internazionale del sistema agro-alimentare italiano.
Il Ppwr ostacolerà l’ulteriore crescita dell’industria del riciclo italiana, che i nostri prodotti contribuiscono ad alimentare: quando ben gestita, la plastica è una grande opportunità e non una minaccia, e questo modello produttivo-distributivo sarebbe da prendere ad esempio, non da condannare a morte.

ProFood è il gruppo merceologico interno a Federazione Gomma Plastica (Confindustria), che raccoglie 14 aziende italiane produttrici di contenitori in materie plastiche destinati al confezionamento, alla distribuzione e al consumo di alimenti e bevande. Le Aziende associate a ProFood impiegano circa 4.500 addetti dislocati in 29 impianti produttivi in Italia e all’estero, sviluppano un fatturato di 1,5 mld€ e rappresentano oltre il 70% della produzione italiana di settore (EPD imballaggi).

Fonte: Profood

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