C'è chi ha puntato su un'esposizione simile a quella di un fruttivendolo (servizio assistito incluso), chi punta su un gioco di illuminazione e scaffalature in legno, chi ha deciso di sposare la tecnologia più innovativa inserendo fattorie idroponiche verticali nel reparto ortofrutta oppure chi accosta dimensioni differenti, ad esempio di pomodori e peperoni, per creare mix visivi accattivanti, chi invece valorizza le erbe aromatiche oppure nobilita un alimento povero e semplice come le patate con arredamenti che catturano immediatamente l'attenzione dei clienti.
Insomma, per il retail – piccolo o grande, associato o indipendente, poco importa – valorizzare l'area dei freschi e il reparto ortofrutta in primis non è un fattore secondario. Anzi, decisamente distintivo. Qui si gioca ormai la partita decisiva per conquistarsi nuovi clienti e fidelizzare definitivamente quelli storici. Argomenti che ormai sentiamo da tempo: Giorgio Santambrogio, ad del Gruppo VéGé oppure Mario Gasbarrino, ad di Unes, giusto per citare due manager nostrani – ma non sono i solo – da tempo nei loro interventi a tavole rotonde o convegni dove si immagina il supermercato del futuro, non mancano di sottolineare sempre l'importanza del fresco, a partire dall'ortofrutta.
, direttore della società Tcc Global insight, per la rivista on line The Grocer, ha recentemente stilato una lista di 10 reparti ortofrutta osservati e studiati in giro per il mondo da non perdere e dai quali prendere spunto per modalità espositive e assortimenti.
Si va da Carrefour in Spagna a Jumbo Foodmarkt in Olanda, da a K-Citymarket in Finlandia a due insegne in Germania – Zurheide Feine Kost e Real – passando naturalmente per quelle americane (Fresh Thyme Farmers Market, Lucky’s Market, Stew Leonard’s) e quelle inglesi (Daylesford, Eat 17).
Qualche esempio made in Italy da includere tra i primi dieci? Nessuno. Non sappiamo se per dimenticanza oppure perché nessuno dei reparti ortofrutta nostrani siano stati considerati realmente all'altezza degli esempi più virtuosi incontrati per il mondo. Certo non si può accusare Roberts di campanilismo: nel suo articolo non lesina critiche ai retailer inglesi, considerati nella media mediocri quando si analizzano i reparti ortofrutta e spesso dotati di espositori poco fantasiosi nonché invasi da così tante confezioni di plastica da rendere questo reparto “una terra desolata” e non un tripudio di colori e profumi, come invece potrebbe e dovrebbe essere.
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PS: la foto in alto è quella di un Carrefour italiano (Milano, format “Gourmet”) che, probabilmente, in una possibile lista dei 10 reparti ortofrutta italiani da non perdere potrebbe tranquillamente far parte. Lo stesso