19 febbraio 2016

Aglio Bianco Polesano Dop

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Un profumo intenso – «ma non pungente, quanto molto persistente» -, un’alta percentuale di sostanza secca, mai una pezzatura troppo grande e grandi doti di serbevolezza. È l’Aglio Bianco Polesano Dop, un prodotto che in provincia di Rovigo è storia e tradizione. Da sempre. «Già a fine ‘800 avevamo richieste del nostro aglio dagli Stati Uniti». A raccontarci caratteristiche e peculiarità di questa denominazione veneta è Massimo Tovo, presidente del Consorzio di Tutela, che abbiamo incontrato a Berlino durante l’ultima edizione di Fruit Logistica.

Massimo Tovo, presidente del Consorzio di Tutela dell'Aglio Bianco Polesano Dop

Massimo Tovo, presidente del Consorzio di Tutela dell'Aglio Bianco Polesano Dop

«Il Consorzio è nato nel 2010, dopo un’attesa lunga quasi 9 anni per ottenere la Dop». La partenza è con 20 soci e pochi ettari, ma la volontà di valorizzare un prodotto unico come l’aglio polesano non è mai venuta meno.

È stata una scommessa la strada della DOP, ma eravamo sicuri della nostra storia, delle caratteristiche uniche del nostro aglio. Non ha una pezzatura grande come quelli spagnoli, per esempio, ma aroma e lunga conservabilità sono i suoi punti di forza.

La raccolta avviene durante il mese di luglio e la commercializzazione fino al maggio dell’anno successivo.

Viene lasciato essiccare al sole per 25/30 giorni. Deve, infatti, prendere tanto sole e aria. Se piove lo copriamo immediatamente. È un processo determinante per far sì che prenda quel colore bianco brillante che lo caratterizza. Segue poi l’immagazzinamento e lo stoccaggio.

Aglio Bianco PolesanoTra le peculiarità che rendono l’Aglio Polesano Dop un prodotto di grande piacevolezza, c’è anche il terreno: «una lingua posizionata tra i fiumi Po e Adige, ricca di minerali e potassio». Sono 30 i comuni dove viene coltivato. La lavorazione è un altro aspetto sul quale il presidente del Consorzio insiste e che lo distingue ulteriormente. «E un aglio con il bottone». Come prescrive anche il disciplinare, infatti, “il taglio dello stelo dev’essere netto e l’apparato radicale va asportato o completamente o in modo da lasciare le radici appena presenti con la loro parte iniziale”. In questo modo, continua Tovo, l’aglio rimane più compatto e lascia entrare al suo interno meno umidità. Se a questo uniamo anche la presenza della lavorazione in trecce e treccioni, tipica del Polesine, «i tempi di confezionamento si allungano notevolmente».

Oggi le aziende che fanno parte del Consorzio sono arrivate a 30 «ma, soprattutto, l’investimento in ettari da parte dei soci aumenta. Segno che ci crediamo tutti. Oggi gli ettari dedicati alla Dop sono circa 60». Un valore, quello della denominazione d’origine protetta, che secondo Tovo dà garanzia ai consumatori, soprattutto italiani, che sono molto attenti nel caso dell’aglio a questo fattore. Meno forse all’estero. «Dipende. In generale i paesi mediterranei danno molta importanza alla certificazione di origine. In altre nazioni, invece, meno, ma anche perché sanno poco». Solo il 5% della produzione vola all’estero, anche se piccole catene della distribuzione moderna in Germania e Svizzera stanno cominciando a trattarlo. La maggior parte dei volumi, quindi, vengono venduti in Italia, in particolare nel Nord, soprattutto attraverso la Gdo.

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