Il piatto è indubbiamente ricco in questo momento e quindi, come capita sempre in questi casi, sul grande carro ora vogliono salirci in tanti. Forse in troppi qualcuno potrebbe dire. Soprattutto se si pensa che la domanda, in questo momento, fatica ad essere coperta da un’adeguata offerta, sia di materia prima disponibile, che di assortimenti, soprattutto nella grande distribuzione.
Stiamo parlando del mondo del biologico che martedì 28 giugno ha visto alcuni dei suoi protagonisti riunirsi a Milano per l’incontro promosso da Assobio – l'associazione delle imprese di trasformazione e di distribuzione del bio – per una conferenza dal titolo “C’è un grande prato verde. Il biologico: dieci anni di successi e una grande opportunità per l’agroalimentare italiano”.
I dati, illustrati da Nielsen per la Gdo e da Roberto Pinton per tutto il resto (dettaglio specializzato, food service, etc.), mostrano un comparto che ormai da anni ha fatto quasi l’abitudine a crescite a doppia cifra pressoché annuali, che quasi non stupiscono più.
Siamo il mercato che cresce, siamo stati sdoganati, orami la stampa si occupa sempre di più di biologico e biodinamico”
ha sottolineato all’inizio del suo intervento Paolo Carnemolla, presidente di FederBio.
Ma Carnemolla ha anche lanciato più di un avvertimento ad un settore che deve ora cominciare a interrogarsi seriamente su come gestire questa incredibile cavalcata, pena il venir travolti dal proprio stesso successo.
Siamo percepiti come un settore sostenibile, anche per il reddito che il biologico dà agli agricoltori. Questo ha fatto sì che in questo settore stiano entrando molte imprese, molte anche ottime e professionali, ma che caricano di problemi il sistema”.
Il sistema di certificazione “è lo stesso di 15 anni fa e non si è adeguato e il sistema dei servizi, della consulenza alle aziende del settore biologico, oggi non c’è”. A questi due aspetti si aggiunge la mancanza del riconoscimento di un organismo interprofessionale: “non è più possibile non sedersi al tavolo del ministero per decidere le regole che fanno funzionare il mercato”.
Per quanto riguarda la società di servizi Carnemolla ha affermato che dopo la riunione di FederBio del 21 giugno, l’idea di crearla è definitivamente stata approvata. Per ora non ha ancora un nome: tra i suoi obiettivi essere “uno strumento operativo per le imprese. Senza servizi non ce la faremo a stare sul mercato in modo integro. Vogliamo chiudere la questione da qui a ottobre”.
Il tema della tracciabilità e dei controlli, secondo Carnemolla, è molto più importante rispetto a quello della soglia dei residui, caro soprattutto a Bruxelles. “Abbiamo un approccio differente. Dobbiamo rafforzare i controlli in campagna (questa settimana è partito il piano controllo rafforzato sul pomodoro di industria) e poi la tracciabilità. Manca un vero sistema di tracciabilità. Le autodichiarazioni e la carta non sono garanzia di nulla. Dobbiamo fare insieme una grande battaglia”.
C’è poi il tema della comunicazione.
Questo mercato cresce indipendentemente dall’investimento che il sistema fa in iniziative di comunicazione. Non c’è una comunicazione istituzionale al momento, anzi, quella che viene fatta spesso è negativa. Cresciamo senza comunicazione: questo succede perché i cittadini riescono ad informarsi in modo indipendente: ecco perché il biologico cresce anche nella Gdo”.
E a proposito di comunicazione, il presidente di FederBio arriva da due ore fitte di intervista con la troupe di Report che, prossimamente, si occuperà nuovamente di biologico. “ Spero di essere riuscito a condividere con loro quello che deve essere raccontato. Ciò che funziona e ciò che non funziona, anche all’estero”.
Insomma, se il mercato è premiante in questo momento, tutto il sistema che sta dietro il biologico sembra avere molto lavoro ora da fare per far sì che il giocattolo non si rompa. “Il successo è sempre e solo in funzione della fiducia che i consumatori hanno che questo sistema funzioni e dia garanzie” ha chiuso Carnemolla. “È un percorso di evidente successo dopo anni di dura lotta e oggi siamo oggettivamente l’alternativa vincente alla coltivazione convenzionale. Gli unici che possono perdere la partita siamo solo noi, compromettendo questo patrimonio di fiducia”.