A marzo si allargherà il mare che separa l'isola britannica dal continente europeo. Ed è una notizia certa, salvo referendum last minute, ma resta da capire quanta distanza si dovrà misurare tra noi e loro. Al Forum Agrifood Monitor organizzato da Nomisma e CRIF a Bologna si è fatto il punto, ma mancano le certezze. In particolare per prodotti senza brand come quelli dell'ortofrutta che possono essere sostituiti da beni provenienti da paesi terzi. Pensiamo ai derivati del pomodoro – pelati, polpe e passata – il cui export verso la Gran Bretagna tocca il 20% del valore. È contenuto l'export, sotto i 100 milioni di euro, ma è alto il grado di dipendenza di zuppe pronte e fagioli in scatola, venduti per un terzo in UK. Numeri importanti.
Se prendiamo tutto il settore agroalimentare il calcolo dell'export verso il mercato britannico supera i 3 miliardi di euro. Il nostro quarto mercato di export alimentare, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Nel Paese l’autosufficienza alimentare non supera il 50% e le esportazioni italiane negli ultimi 10 anni sono aumentate del 43%, sarebbe un brutto colpo per la nostra economia avere ostacoli nel mercato britannico.
Il vice ambasciatore britannico Ken O’Flaherty ha spalmato tranquillità: “Usciamo dalla Ue, ma restiamo in Europa pronti a dare il nostro contributo per la stabilità, sicurezza e prosperità dell'area”. Non è mancato il riferimento alla difesa delle regole del libero scambio. Ma come San Tommaso l’europarlamentare Paolo De Castro non crede a tutte le parole: “Forse ho sentito altre campane, ma vedo un quadro diverso” e ha sottolineato come il problema “sono gli accordi con i paesi terzi. Quelli che aprono le porte ai prodotti che vengono da Usa, Australia e Cile. Seppure non penso si arrivi ad una rottura drastica…”. D'obbligo i puntini di sospensione.
E la frutta e la verdura italiana come se la caveranno? Secondo i numeri presentati da Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma, l'ortofrutta non lavorata fresca oggi vale l'8,9% delle importazioni britanniche di prodotti agroalimentari italiani. I primi tre prodotti italiani esportati sono mele, kiwi e l'uva da tavola. Se da una parte sarà difficile sostituire prodotti come il Parmigiano Reggiano o il Prosecco – presenti al forum con i direttori dei rispettivi consorzi – , il discorso cambia per prodotti indifferenziati. Qui si annidano gli eventuali pericoli per la nostra frutta e verdura. Una nota positiva arriva da un'eventuale svalutazione della sterlina: “Penalizza maggiormente i nostri concorrenti spagnoli“.