03 febbraio 2016

Cambia il clima, cambierà anche l’agricoltura?

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Difficile fare previsioni nel medio-lungo termine, ma alcune evidenze sono ormai chiare: il clima sta cambiando e, contemporaneamente, la popolazione mondiale aumenta. Come coniugare la crescita della domanda di cibo con le nuove esigenze di una agricoltura che deve fare i conti con le bizze del clima? Se lo sono chiesti alcuni esperti del settore durante la 35° edizione del Fresh Produce Forum di Berlino, annuale convegno che fa da prologo a Fruit Logistica (3-5 febbraio), la fiera internazionale più importante al mondo dedicata alla filiera ortofrutticola.

Kaasten Reh, Project Director di Fruitnet Media International e moderatore del Forum

Kaasten Reh, Project Director di Fruitnet Media International e moderatore del Forum

Gli studiosi che si sono avvicendati sul palco – da Benjamin Leon Bodirsky, climatologo dell’Istituto Potsdam alla sua collega Susanne Rolinski, e ancora Stewart Collis, CTO dell’azienda americana AWhere Inc. – sono sostanzialmente giunti alle medesime conclusioni: l’agricoltura dovrà adeguarsi per andare incontro alle mutate esigenze che il clima ci impone. Nessuno ha, come prevedibile, una soluzione, e nessuno, soprattutto, è in grado, con gli attuali modelli a disposizione, di elaborare previsioni precise su quello che potrà accadere da qui al prossimo futuro.

Pur senza cadere in scenari apocalittici, gli esperti giunti a Berlino non hanno potuto non sottolineare come negli ultimi anni alcune evidenze dimostrino come in moltissime aree del pianeta si siano verificati due fenomeni: l’aumento delle temperature medie – negli ultimi 100 anni è aumetata di 0,8 gradi – e l’intensificarsi, in brevi periodi dell’anno, di precipitazioni molto intense, spesso distruttive per le coltivazioni. Una situazione non facile da affrontare se consideriamo che da qui al 2050 si stima che gli abitanti della Terra saranno 10 miliardi contro i 7 presenti al momento. Una grande massa di persone che richiederà più cibo e che costringerà l’uomo a dover aumentare la superifice di terreno dedicata alla produzione, che al momento è di circa 4900 milioni di ettari.

Probabilmente, là dove un tempo non si potevano coltivare determinate colture, sarà invece in futuro possibile, viceversa, areali da sempre considerati ideali alla coltivazione, non lo saranno più, o non più come un tempo.

Uvasdoce

Un esempio di come il cambiamento climatico abbia costretto gli agricoltori a dover studiare delle contromosse è arrivato dalla Spagna del sud. Sul palco del congresso berlinese, infatti, sono saliti due esponenti dell’azienda Uvasdoce di Alicante, tra i quali anche il managing director Alfredo Miralles. Questa zona, da sempre vocata alla coltivazione di uva da tavola, negli ultimi 20 anni ha visto cambiare il clima in modo deciso: “più siccità, temperature più torride e più allagamenti”.

Le conseguenze sull’uva da tavola sono state una maturazione troppo precoce, il ricorso all’irrigazione in modo superiore rispetto al passato (con conseguente aumento dei costi), la copertura con reti ad hoc sulle coltivazioni per cercare di difendersi dall’irruenza delle violenti piogge che arrivano proprio al momento della vendemmia. Tra le soluzioni che l’azienda ha dovuto prendere, anche il cambio di varietà con l’adozione di quelle senza semi, che sembrano rispondere meglio alle mutate condizioni climatiche.

È solo un esempio, e volendo neanche il più dirompente. Come, infatti, ha sottolineato in chiusura Thomas Averhoff, managing director dell’azienda tedesca Univeg, da qui a poco bisognerà “gestire le cose in modo molto più estremo ed essere pronti a far fronte a situazioni estreme”.

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