In tema di caro materie prime, lo scenario macroeconomico è tutto sommato ottimistico, ma la realtà descritta dagli attori della filiera ortofrutticola è a tinte fosche. E, presumibilmente, resterà tale per altri sei-dodici mesi. E' quanto emerso stamattina dal webinar “Prezzi delle materie prime, rincari e conseguenze sul comparto agroalimentare” organizzato da Cso Italy.
L'Italia è in posizione favorevole
Secondo Massimiliano Mazzanti, docente dell'Università di Ferrara, l'Italia è pronta ad affrontare le sfide poste dall'Unione europea, vedi Green Deal e Farm to Fork: “Il paese è tra i primi ad aver abbracciato l'economia circolare, il che significa efficienza nell'uso delle risorse – ha spiegato il professore – E pertanto si trova in una posizione favorevole. Ma la spesa per lo sviluppo delle Pmi è deficitaria, occorre pragmatismo politico per agevolare la cosiddetta giusta transizione. L'Italia sta investendo nella decarbossilazione e ciò è un bene, visto che il costo della CO2 è in aumento e quindi bisognerà ridurre le emissioni per risparmiare. Per non essere spiazzati dalla tecnologia e dagli eventi, sono necessari investimenti in formazione e in ricerca e sviluppo“. Analizzando alcuni indicatori economici – in primis l'andamento dell'inflazione – e facendo riferimento all'andamento dei prezzi delle materie prime tra gli anni Settanta e il pre-Covid, quando cioè non si sono mai manifestati grossi scostamenti, Mazzanti si è detto dunque cautamente ottimista per il futuro: “La banca centrale europea – ha chiosato – accompagnerà la ripresa”.
Il mondo viaggia a tre velocità
Un ottimismo che non si ravvede nel quadro delineato da Roberto Graziani, titolare della Graziani Packaging: “Negli ultimi sei mesi il mondo sta viaggiando a tre velocità – ha esordito – La Cina cresce a ritmi del 9%, gli Stati Uniti del 6% e l'Europa, dopo essere rimasta al palo per mesi, ora si attesta intorno al 4-5 per cento. Ma paghiamo le materie prime come se stessimo viaggiando alla stessa velocità dei cinesi”. In pratica, lo scenario descritto da Graziani è il seguente: la Cina, per continuare a produrre, ha fatto acquisti di massa in termini di materie prime (che peraltro produce) e pertanto il resto del mondo, in particolare l'Europa, è in difficoltà: “Siamo senza scorte e con i margini bruciati – ha sottolineato – Non abbiamo possibilità di discutere i prezzi e cerchiamo di anticipare i tempi, perché abbiamo paura di restare senza materia prima e dunque di non poter fare fronte agli ordini”. Un comportamento necessario, ma nel lungo periodo dannoso: “Il rischio è di generare speculazione”, ha aggiunto. Quanto al futuro prossimo, non appare roseo: “Abbiamo già le quotazioni di luglio e sono ancora al rialzo – ha riferito Graziani – Difficilmente si tornerà a una situazione di normalità nei prossimi sei-dodici mesi”.
L'errore di prospettiva del trasporto marittimo
In questo scenario, di certo non aiuta la situazione trasporti, i cui costi alle stelle si ripercuotono sul prezzo delle materie prime. Roberto Martini, Ad di Dcs Tramaco, per spiegare la situazione ha ripercorso quanto accaduto nell'ultimo anno e mezzo. “All'inizio della pandemia – ha ricordato – si è fermato il distretto produttivo di Wuhan, il che ha bloccato i porti cinesi. Ha avuto inizio la carenza dei container, rimasti in Oriente”. Con il propagarsi del virus e con i vari lockdown nelle diverse aree geografiche, si è poi assistito al blocco della produzione mondiale: dunque meno merce in circolazione, meno richieste di trasporti, meno navi e, anche, i primi blank sailing, ossia la cancellazione delle toccate di porto da parte delle porta-container. Per far fronte alla situazione, secondo Martini, è stato commesso un errore di prospettiva: “Per quattro anni le compagnie marittime potranno fare sinergia senza essere accusate di fare cartello – ha argomentato – Un fattore che contribuisce al caro noli”. Ma non è l'unico. Il traffico continua a essere sbilanciato: c'è molta richiesta di materie prime e pertanto dalla Cina partono container verso Europa e States, ma poi non tornano in Oriente, perché viaggerebbero vuoti (o quasi). Inoltre, nel grande caos, non hanno aiutato l'incidente di Suez e nemmeno la quarantena del porto cinese di Yantian per la variante delta, a oggi sono 16 i giorni di attesa per entrare. E così, per un perverso gioco di cane che si morde la coda, in Asia non ci sono più container per portare le materie prime in Occidente: “La domanda è alle stelle – ha precisato Martini – il costo dei noli è aumentato a dismisura, fino a 32mila dollari“. Il che, in ultima analisi, si traduce in un assurdo, perché il servizio risulta di gran lunga meno efficiente rispetto al pre-pandemia: “I viaggi sono più lunghi, le partenze irregolari, ma i costi sono molto più alti”. Per quanto, ancora? “I pessimisti – ha terminato Martini – parlano di altri tre anni“.
I rischi per il settore produttivo
Quanto al mondo produttivo ortofrutticolo, si sono detti concordi Claudio Magnani direttore operativo di Apofruit, Cristian Moretti direttore generale di Agrintesa, e Marco Salvi, presidente Fruitimprese: il momento è difficile. “I consumatori – si è chiesto Salvi – sono disposti a pagare il conto di quanto sta accadendo oppure, ancora una volta, il contraccolpo dovrà essere assorbito a valle? Se così fosse, rischia di saltare il sistema produttivo”. “L'auspicio – ha concluso Moretti – è che i produttori possano fare sistema con la distribuzione, il retail e i consumatori per tornare, insieme, alla normalità”.