19 settembre 2023

Castagne: l’Italia resta la più tradizionalista

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In fin dei conti, sulla castanicoltura in Italia è questione di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Da Eurocastanea 2023, la rete dei sei Paesi castanicoli – Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Austria e Grecia – che collaborano tra loro e ogni anno si confronta per fare il punto della situazione, emergono infatti impulsi contrastanti sul futuro di questa coltura.

A commentare il convegno annuale che si è concluso la scorsa settimana e che, facendo base a Leibnitz, in Austria, ha comunque toccato anche Slovenia e Italia, è Roberto Mazzei, uno dei cinque rappresentanti italiani all’interno della rete castanicola europea, oltre che direttore del Distretto delle Castagne e dei Marroni della Campania.

La situazione in Italia

“A livello produttivo – spiega Mazzei – le previsioni di quest’anno vedono l’Italia in forte calo rispetto al 2022, mentre gli altri Paesi europei, che avevano registrato in linea generale una produzione più contenuta lo scorso anno, stimano buoni quantitativi. Nello specifico, dovremmo raccogliere in media meno del 50% rispetto allo scorso anno, con cali in Campania (la maggiore regione castanicola italiana) e Lazio (metà del 2022) e in Emilia Romagna (-40%). Fa eccezione il Piemonte, che ha avviato diversi nuovi impianti, soprattutto in pianura”.

Poi Mazzei continua: “E’ inoltre emerso che l’Italia, di fatto, rappresenta l’ultimo baluardo in Europa di una castanicoltura tradizionale. I nuovi impianti in pianura e meccanizzati, infatti, sono ancora molto marginali rispetto a ciò che sta avvenendo negli altri stati, dove la castanicoltura vede impianti moderni, razionali, con nuove cultivar, meccanizzati, per lo più irrigati e dove si investe in tecniche di miglioramento varietale per contrastare fitopatologie come il male dell’inchiostro. Da noi invece, se prendiamo in esame gli investimenti-tipo della maggioranza delle imprese, si è molto più orientati a scommettere sul miglioramento degli impianti tradizionali, con il loro ripristino produttivo la riconversione e la meccanizzazione”.

Idee per il futuro della castanicoltura

Dunque, cosa dovrebbe fare l’Italia? “Una soluzione univoca – spiega Mazzei – non esiste. Senza fare innovazione, infatti, si rischia di non essere competitivi sui mercati. Tuttavia, stravolgere il nostro sistema, investendo su impianti soprattutto nuovi e in pianura, significherebbe abbandonare la montagna, dove per la conformazione dei terreni la coltura è anche molto più difficoltosa. E’ giusto tutto questo?”.

Può esserci, però, un compromesso. Ancora Mazzei infatti suggerisce: “Ciò che non dobbiamo fare è rimanere dove siamo adesso, questo è certo. Tuttavia, se vogliamo salvare la castanicoltura tradizionale, dobbiamo comunque avere un approccio e una gestione più innovativi, intervenendo dove è possibile con razionalizzazioni, meccanizzazione, protocolli agronomici attenti e adattati alle diverse orografie e condizioni pedoclimatiche. Dobbiamo guardare con interesse anche a nuovi impianti in aree che potrebbero essere vocate, ma nello stesso tempo non possiamo non lottare per sostenere un sistema produttivo che rappresenta per le aree interne, gli appennini, ecc, non solo economia, ma tutela idrogeologica e ambientale”.

Il contributo della promozione dell’immagine della castagna

In tale ottica, una buona mano la potrà dare anche il marketing, di cui il comparto castanicolo ha assoluto bisogno. “Il tema di come affrontare il mercato – riprende Mazzei – è un’altra questione tutta da valutare. Oggi, in Italia, il consumatore-tipo di castagne ha una certa età e non sono conosciute le importantissime proprietà salutistiche di questo frutto, che pure ha molti effetti benefici sull’organismo. C’è bisogno, insomma, di una grande campagna di informazione sulle qualità funzionali della castagna e di un avvicinamento al consumo da parte della fascia dei giovani e dei giovanissimi. Basti pensare che oggi il mercato degli under 35, in Italia, rappresenta solo il 10% del valore degli acquisti di castagne. In questo senso, occorrerà anche ripensare anche alle proposte di consumo, declinandole ad esempio sotto forma di snack e di zuppe. Insomma, per valorizzare l’intera filiera non dobbiamo più guardare al consumo della castagna in maniera tradizionale, o almeno non solo”.

Uno sguardo all’Europa

Mentre in Italia la situazione è quella sopra descritta, cosa succede Oltralpe? “La Francia – riferisce Mazzei – vede la sua produzione in crescita seppur con qualche ritardo, con incrementi in due aree particolari: l’Aquitania e il Limosino, che registrano la presenza di nuovi impianti in produzione gestiti in chiave moderna. Nel complesso, negli ultimi dieci anni, la loro produzione sta crescendo grazie alle nuove aree produttive e ai buoni modelli adottati (castagneto curato come un vero e proprio frutteto)”.

Ancora, Mazzei prosegue: “In Spagna, le aziende castanicole hanno superato le 100mila unità. Il loro mercato principale rimane l’Italia, che assorbe il 65% della produzione. L’anno scorso la Spagna ha registrato un calo nei quantitativi del 61%. Quest’anno si prevede una produzione solo del -15% rispetto alla norma. I castanicoltori spagnoli vedono criticità nella poca pioggia, nelle fitopatologie (soprattutto Cydia e Gnomoniopsis) e nel cambiamento climatico. Denunciano anche problemi legati agli incendi boschivi e all’abbandono delle aree tradizionali, cui si aggiunge un invecchiamento dell’età media degli imprenditori. Al contempo, però, vedono crescere una cultura del settore e sono soddisfatti del dinamismo che c’è attorno alla castagna, con nuove piantagioni, nuove tecniche di coltivazione (maggiori densità, uso di ibridi, irrigazione a goccia, ecc.). Registrano infine anche un grande impulso dell’industria di trasformazione, che ogni anno propone nuove iniziative e una vasta gamma di prodotti finali”.

“In Portogallo gli impianti di castagne sono aumentati dal 2009 del 53%, raggiungendo oggi i 53mila ettari, con una produzione che supera le 60mila tonnellate. Dopo anni in continua crescita e un picco produttivo nel 2019, dal 2020 è iniziata una flessione, con un 2022 drammatico che ha visto una produzione media di 5 quintali per ettaro, a causa della siccità. L’esportazione di questo Paese vede come primo sbocco la Spagna, poi a seguire Italia, Brasile e altri Paesi. Per il 2023 si prevede il ritorno a un’ottima produzione, perché i produttori portoghesi ritengono di avere avuto un clima ideale per una campagna molto soddisfacente.

La Grecia infine – conclude Mazzei – grazie alla crisi produttiva in Italia ha cominciato a esportare, con quantitativi che sono cresciuti nel tempo grazie a un piano di accrescimento degli impianti e di miglioramento genetico che parte da lontano. I prezzi al dettaglio, piuttosto sostenuti, stanno però allontanando il consumo interno”.

Per il 2024, il Paese ospitante di Eurocastanea è già stato definito: sarà la Grecia.

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