“Bisogna avere il coraggio di prendere una posizione. Anche il silenzio, oggi, ha un prezzo”. L’affermazione con la quale Paolo Iabichino ha aperto il suo intervento alla serata per i festeggiamenti dei 20 anni del Consorzio Bestack credo racchiuda in sé una forza che non deve scivolare via come se nulla fosse.
È un’affermazione che va dritto al cuore di un concetto che per ognuno di noi – e quindi anche per le aziende, che di persone sono fatte – è fondamentale: l’identità. La formazione dell’identità. Quasi un monito, certamente una sferzata, quella di Iabichino, che probabilmente ci si aspetta da chi di lavoro fa il pubblicitario e il direttore creativo e che ha condotto, sino ad ora, campagne di grande impatto come quella di Altroconsumo, ad esempio, che certo non ha paura di prendere posizione.
Parole che si uniscono perfettamente al messaggio che poco prima Roberto Balzani, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Bologna, aveva lanciato dallo stesso palco, allo stesso pubblico. Noi prendiamo linfa dalle nostre radici, così come dalla nostra discendenza, dalla nostra genealogia. La nostra identità si forma così. Ma non basta. “L’identità non è solo un processo che ci determina, è qualcosa che noi costruiamo come scelta”.
Voltarsi dall’altra parte, facendo finta che quello che diciamo, facciamo, produciamo, sia immune da quello che ci circonda, non è più possibile. O meglio, è possibile farlo naturalmente, ma non è più gratis, qualcuno ce ne chiederà conto prima o poi.
“Quando la generazione Z chiederà conto della sostenibilità alle aziende, non accetterà quelle che lo fanno da poco, solo per marketing o convenienza”, diceva un manager del mondo del vino qualche tempo fa presentando il bilancio sulla sostenibilità dell’azienda che guida.
Ecco, al da là delle simpatiche sigle con le quali ci piace indicare per comodità i giovani di oggi, non bisogna dimenticare che ormai danno per scontato che le aziende, e quindi le persone, prendano posizione e dicano come la pensano. A partire proprio dalla sostenibilità, tema diventato quasi snervante per il suo uso, e soprattutto abuso, ma ineludibile. Anche se ci sono modi intelligenti per parlarne (vedi la foto di apertura).
L’ortofrutta è pronta per questo? In questo momento, probabilmente no. Anzi, possiamo anche togliere il “probabilmente”. Ma non è sola in questo, vale anche per altri ambiti del mondo agroalimentare.
Avere coraggio non è affatto semplice, soprattutto nel caso di un comparto che in molti, se non moltissimi casi, continua a considerare centrale il refrain salutista “mangia frutta e verdura perché fa bene”. Refrain che molti di noi già scansavano da ragazzi, e che tuttora sembra produrre lo stesso effetto. La perdurante emorragia delle vendite a volume è lì e parla chiaro.
Però, prima o poi, cambiare paradigma e scegliere una propria identità, magari uscendo dalla nostra confort zone, sarà inevitabile. Anche perché non farlo sarà ugualmente giudicato. Rimanere in silenzio, d’altronde, significa ugualmente prendere posizione.