Il 2021 rischia di essere ricordato con il solito nulla di fatto nel campo della ciliegicoltura. Così la pensa l'Associazione nazionale Città delle ciliegie che, in una nota diffusa oggi, sostiene anche che la protesta in piazza dei produttori pugliesi per il bassissimo livello dei prezzi all’origine e la successiva “carrellata di opinioni” non porteranno alla risoluzione del problema.
In queste settimane i prezzi al pubblico sono stati i più altalenanti degli ultimi anni: dai 2,99 euro/chilo di Eurospin agli 11,27 euro di Coop; secondo l'Associazione entrambi i prezzi denotano una grave anomalia che pesa sia sui produttori , sia (e non meno) sul consumatore finale.
In più, ritrovarsi ogni anno a parlare sempre dello stesso problema e rimandare la soluzione certamente non aiuta e non risolve.
Cosa succede da nord a sud
In Veneto la situazione è drammatica; si stima una produzione pari al 10% del valore storico; gelate in aprile e piogge in maggio hanno decimato l’intero raccolto.
In Emilia Romagna la situazione è di poco migliore, con una produzione che si aggira intorno al 50-60% dello scorso anno e un prodotto che ha comunque sofferto dell’inclemenza del tempo.
Nel Lazio le gelate primaverili hanno ridotto la produzione del 30% con le aree della Sabina e della Tuscia notevolmente ridimensionate. La Campania conta il 40% di prodotto in meno, e ancora prezzi disastrosi.
In Puglia, in controtendenza rispetto al resto d’Italia, la produzione è esplosa: la stagione era iniziata in maniera poco favorevole con sporadiche gelate primaverili che hanno comunque influito sulle varietà precoci; poi bel tempo e temperature in salita hanno consentito una produzione molto elevata di Giorgia e Ferrovia che, pur con un calo di pezzatura, registrano frutti sani, belli e di lunga durata.
In ogni caso, ricorda l'Associazione, la produzione a livello nazionale ha subito un calo consistente nei volumi che non giustifica simili (bassi) prezzi alla produzione.
La debolezza dell’offerta frammentata
La produzione risulta altamente frammentata, con una miriade di piccoli autonomi coltivatori che tentano di conferire il prodotto ai grossisti di zona o alla piccola distribuzione alimentare locale (anch’essa frazionata, almeno in termini di volumi commercializzati).
Alcuni territori, pur importanti per produzione, affrontano il mercato globalizzato con tre varietà: Bigarreau, Giorgia, Ferrovia che, in alcune stagioni, determinano fenomeni di surplus produttivi alternati a vuoti di offerta nelle annate negative, che si traducono in continue crisi dei prezzi.
Per l'associazione nazionale Città delle ciliegie non esiste un’organizzazione nazionale che possa fungere da riferimento e incontro tra la produzione e il consumatore finale; in altri termini, “il settore è in balia delle onde di mercato date dagli umori e dalle politiche aziendali delle varie catene della distribuzione alimentare. Non si usa la potenzialità del nostro territorio che potrebbe gestire con grande vantaggio una produzione cerasicola che va da fine aprile (Sicilia, Calabria, Puglia) a metà luglio (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige)”.
La “chimera distributiva”
La distribuzione alimentare italiana ovviamente subisce, insieme ai consumatori, anche le grandi anomalie del comparto.
Sempre più spesso sarebbe commercializzato al pubblico un prodotto non corrispondente alle varietà descritte: ad esempio, Bigarreau dichiarata Giorgia; Giorgia dichiarata Ferrovia; Ciliegie Rosse dichiarate Nere, ecc.; calibrature mal eseguite in particolare nelle confezioni chiuse. Ma il prodotto sui banchi appare quasi sempre stanco, a causa – segnala l'associazione – della cattiva gestione delle piattaforme ortofrutticole che spesso portano il prodotto della zona di produzione a complicare i percorsi logistici. Ad esesmpio, portando le ciliegie prodotte nel Territorio A alla Piattaforma distributiva B (distante centinaia di chilometri), per poi commercializzarle nei punti di vendita del Territorio A, con giorni di attesa e ore di trasporto che ne comprometterebbero la qualità.
Il prezzo finale sarebbe poi utilizzato in doppia veste: “First Price” sfruttando al massimo il basso prezzo di acquisto alla produzione; “Premium Price” in quanto deve remunerare gli alti costi di gestione (piattaforme distributive, calo peso, sprechi). Senza dimenticare che: ” Il doppio prezzo (di acquisto e di vendita) ancora non viene indicato in etichetta ma, al pari delle diciture Prodotto Italiano e Duroni, non sempre risponderebbe al vero”.
Cosa fare della cerasicoltura italiana
Premesso che dal punto di vista produttivo l’Italia detiene il meglio che la ricerca scientifica e la tecnica mette a disposizione, si tratta di migliorare gli aspetti logistici e gestionali delle dinamiche di mercato.
La parola d’ordine è “fare massa critica”; togliere dall’isolamento i molteplici singoli produttori unendoli in contesti logistici che possano competere con le realtà commerciali della Grande Distribuzione, altrimenti strabordanti in termini di capacità e posizione contrattuale dominante.
Le soluzioni proposte
L’obiettivo dovrebbe essere l'istituzione di Consorzi produttivi regionali e/o altre forme giuridiche di aggregazione alle quali i coltivatori possano facilmente aderire beneficiando di servizi altrimenti difficili da raggiungere: formazione del personale, assistenza fiscale, trasformazione del prodotto, assistenza tecnica e controllo del ciclo di produzione, acquisto centralizzato concimi, fitofarmaci, imballaggi e così di seguito, tecnologia a disposizione (celle frigo, calibratura, confezionamento, logistica); rapporto con gli organi istituzionali regionali.
Queste realtà regionali risulterebbero idonee alla logistica distributiva territoriale e potrebbero rappresentare un’ottima risorsa per la distribuzione alimentare consentendo risparmi considerevoli e migliore qualità dei prodotti.
I Consorzi produttivi regionali e/o altre forme giuridiche di aggregazione, dovrebbero poi aderire a un Consorzio cerasicolo nazionale che regoli il flusso di prodotto alla distribuzione, contrattando a pari livello, prezzi e condizioni commerciali. Consorzio che avesse anche la capacità di competere con la realtà del prodotto estero sempre più disponibile per le note dinamiche della globalizzazione. Prodotto estero che – ricorda l'associazione – non sempre è all’altezza di quello nazionale, spesso veicolo di malattie e insetti alieni, così come purtroppo interessato da trattamenti fitosanitari vietati e non conformi agli standard nazionali.
Il comparto potrebbe infine dotarsi di un Marchio Nazionale che dia risalto alla produzione di qualità e alle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche delle ciliegie italiane; fare pubblicità; far conoscere ai consumatori le molteplici varietà cerasicole e le loro peculiari caratteristiche; tessere rapporti con gli organi ministeriali promuovendo scelte politico-economiche a supporto della ciliegicoltura.
L’Associazione nazionale Città delle Ciliegie avvierà nei prossimi giorni azioni di contatto con le amministrazioni comunali dei territori cerasicoli d’Italia per promuovere un percorso che vada nelle direzioni indicate e che consenta di affrontare, a campagna cerasicola terminata, tutte le iniziative utili a rendere il comparto “eccellenza ortofrutticola d’Italia”.