31 gennaio 2014

Contraffazione in campo sementiero

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«Nel campo delle orticole merita di essere segnalato il fenomeno della riproduzione meristematica illegale del pomodoro, che per la tipologia del “ciliegino” arriva in certe aree a punte del 60% del mercato». Queste le parole di Paolo Marchesini, presidente di Assosementi, che in un recente comunicato dell’associazione che raggruppa le aziende del settore, poneva l’accento su un fenomeno che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli importanti nel nostro Paese.

Ma di cosa si tratta, esattamente? «La problematica della moltiplicazione illegale – per seme o agamica – sta raggiungendo negli ultimi tempi dimensioni tali da non poter essere sottovalutata. Interessa soprattutto gli ortaggi a foglia (lattughe, valeriana, etc.) con riproduzioni non autorizzate della semente, così come il pomodoro che viene riprodotto tramite talea radicata, il cosiddetto “taleaggio”» ci risponde Alberto Lipparini, responsabile del settore orticole di Assosementi.

«Quest’ultima pratica, in particolare su alcune tipologie di pomodoro, quali lo “cherry” ed il “mini-plum”, raggiunge livelli non trascurabili: senza considerare le punte di qualche areale specifico. Volendo fornire una dato medio nazionale, si stima che per tali tipologie di pomodoro la quota di riprodotto si attesti su un 25-30% del totale». Ma altrettanto significativa è la quota di riprodotto negli ortaggi a foglia dove in alcuni casi – babyleaf – la quota di riprodotto è assolutamente preponderante.

E i rischi sono di tipo sia sanitario che economico. «Nel caso delle moltiplicazioni non autorizzate per seme il rischio che si corre è quello di mettere in commercio prodotti che hanno perso durante le ripetute riproduzioni le loro caratteristiche, con particolare riferimento alle resistenze ai patogeni di cui sono dotati i materiali originali. Nel caso del taleaggio,invece, è concreto ed elevato il rischio di trasmettere pericolosi patogeni – soprattutto di origine batterica – in grado di danneggiare le produzioni e compromettere interi areali di coltivazione».

Oltre a quello sanitario, l’altro rischio legato alla diffusione della pratica del “taleaggio” è rappresentato dall’impoverimento dell’offerta di prodotti che vengono resi disponibili per il consumatore. «Tali pratiche rappresentano forme di concorrenza sleale nei confronti degli operatori che producono nel pieno rispetto delle normative in vigore e che, nei casi di riproduzione di materiale protetto da titoli di privativa vegetale, vengono commessi veri e propri illeciti. Contro tali pratiche è necessario intervenire ed è opportuno che gli Organismi pubblici incaricati del controllo delle produzioni intensifichino le azioni di verifica e di contrasto attuando quanto le normative in vigore già dispongono».

Ma, secondo Lipparini, non devono essere solo le azioni repressive a far mutare la situazione, quanto piuttosto una diversa consapevolezza da parte dell’intero comparto. «Contrariamente a quanto si è portati a credere, la problematica del materiale riprodotto non interessa soltanto una categoria di produttori (ditte sementiere), ma coinvolge l’intero settore produttivo la cui competitività può risultare compromessa dalla minore disponibilità di nuovi materiali migliorati e innovativi. È necessario tenere presente che per produrre innovazione sono necessarie ingenti risorse ed investimenti nel medio periodo (per ottenere una nuova varietà occorrono mediamente 6-8 anni) che possono essere sostenuti solo con un adeguato ritorno economico derivante dalla vendita del nuovo materiale. Le riproduzioni non autorizzate, interrompendo questo circolo virtuoso, mettono a repentaglio la competitività del settore. Per tutti valga l’esempio delle ‘babyleaf’ dove l’impiego diffuso di materiale riprodotto sta privando il nostro Paese delle più recenti innovazioni».

Fonte foto: Agricoltura24.com

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