07 settembre 2022

Crisi alimentare: “Gli effetti del clima più gravi della guerra”

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Che la crisi alimentare sarebbe arrivata lo aveva denunciato, ben prima della guerra in Ucraina, il World food programme; che ciò avrebbe potuto determinare una carestia acuta per oltre 250 milioni di persone nel mondo e carenza di cibo per 1,6 miliardi di persone contro i 440 milioni (stimati negli anni precedenti) era contenuto in un documento dettagliato sulla crisi alimentare. Questa previsione era basata sugli effetti della crisi climatica sulle produzioni agricole mondiali.

“Poi è arrivata la guerra che, con la chiusura dei porti ucraini e il conseguente stop all’esportazione, – sottolinea il presidente della Federazione italiana agenti marittimi, Alessandro Santi – ha assestato un ulteriore colpo con un rapido incremento dei prezzi di tutti i cereali a livello mondiale (+ 20% secondo il food price index dell’Onu con picchi di incremento superiori al 70% su alcune rinfuse come il grano)”.

Mentre la riapertura delle esportazioni dai porti ucraini (tre milioni di tonnellate in agosto e una stima di sei in ottobre) sta producendo un effetto calmierante sui prezzi, sottolinea Santi, clima e siccità continuano e continueranno a imperversare (la stagione in Europa si presenta con una stima globale al ribasso della raccolta di mais e di soia superiori al 15% rispetto alla media degli ultimi cinque anni; in America si stima una riduzione di almeno il 5% del mais) e per l’Italia il conto finale dei danni potrebbe risultare ancora peggiore.

La scarsità e imprevedibilità delle produzioni hanno determinato un effetto sui prezzi molto più impattante di quello della guerra: il food index è aumentato nel mese di agosto di quest’anno di ‘solo’ l’8% rispetto al 2021, ma del 34% rispetto alla media degli ultimi cinque anni: in particolare il mais e l’olio vegetale sono aumentati nello stesso periodo rispettivamente del 45% e del 93%. In Italia ci potremmo aspettare per l’effetto combinato di siccità e scarsità di acqua, una richiesta di import via mare nei prossimi 12 mesi di una quantità di mais comunque superiore ai tre milioni di tonnellate.

La pressione sui porti

“E qui – aggiunge il presidente di Federagenti – iniziano i guai seri: con una pressione sui porti superiore al 30% rispetto quella media degli ultimi anni (mediamente attorno ai dieci milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari alla rinfusa in import), e definitivamente archiviate le tesi dell’autarchia e dell’autosufficienza agricola che spingerebbero il Paese verso la fame e la chiusura dell’industria agroalimentare oggi trainante per il suo export, il rischio di stress della catena logistica potrebbe diventare concreto”.

Invece, malgrado gli appelli e le denunce di Federagenti, poco è stato fatto per rendere le nostre catene di approvvigionamento solide, performanti, sostenibili ambientalmente e pronte alla diversificazione necessaria per difendere le scelte strategiche e di politica internazionale del paese. Il mais oggi nei volumi previsti non ha in Italia spazi e banchine sufficienti a reggere l’urto: pescaggi necessari per le navi che per le originazioni oggi possibili (ad esempio dal Brasile) possono vedere tagliati fuori porti in attesa di dragaggi da anni, aree di stoccaggio portuali e retroportuali non sufficienti, per inerzie di varia natura, e infine logistica interna (camion e treno) in grande sofferenza nel post pandemia, come riscontrato in tutti i porti e retroporti del mondo per la scarsità di risorse innanzitutto umane e gli alti costi del carburante.

Situazione paradossale

“E paradossalmente ciò accade nel momento in cui assistiamo a forti incertezze nell’efficienza logistica nord-europea, a causa del brusco calo nel livello dei fiumi e dei canali che compongono la rete fluviale centro europea. Momento in cui – conclude il presidente di Federagenti – questi fenomeni riportano al centro il Mediterraneo, rilanciando i porti nord adriatici e proponendoli proprio, per agroalimentare e altre materie prime industriali, come piattaforma marittima di riferimento per Austria e sud della Germania, erodendo la quota della portualità del nord Europa”.

Fonte: Federagenti

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