I semi ce li vendono multinazionali olandesi o israeliane. Noi italiani non abbiamo fatto ricerca. Eppure stiamo parlando di uno dei prodotti vanto della nostra produzione ortofrutticola italiana. Il pomodoro di Pachino. Ha festeggiato i dieci anni di tutela dell’Igp, eppure la situazione non è delle più rosee. In un bell’articolo pubblicato su Leggo, se ne traccia un interessante ritratto, che evidenzia limiti e contraddizioni di una risorsa che invece dovrebbe rappresentare un valore aggiunto impareggiabile, soprattutto per il suo areale di produzione.
Tra Ragusa e Siracusa, in Sicilia, gli ettari dedicati a questa coltura sono passati da 1000 a 750, certificando una crisi che nasce dalle spese di produzione, troppo alte, e dalle tante imitazioni che ne riducono mercato e margini di profitto. Anche in questo caso la qualità è direttamente proporzionale alle rese e alle tipologie di impianto. Se, come dichiarano due produttori della zona, Sebastiano Dipietro e Andrea Rabito, si coltivano 1500 piante ogni 1000 metri quadri arriva anche il sapore, altrimenti è più difficile. Infine: oggi vanno di moda datterino (che non è IGP) e ciliegino, ma il più originario a Pachino ha una pezzatura più grande e si chiama ”costoluto”.
Fonte foto: www.treapachino.it