Ieri a TuttoFood un convegno ha misurato il polso a Dop e Igp. Non in generale, ma nello specifico per quelle eccellenze che si trovano nel reparto ortofrutta dei supermercati o nei negozi specializzati.
A fare una istantanea del comparto c'era Mario Schiano Lo Moriello di Ismea che, dopo una introduzione legata alla crisi dei consumi (che continua anche nel 2023), ha riassunto così i numeri per le Ig (Indicazioni geografiche) italiane: “Oltre 100 riconoscimenti, più di 557mila tonnellate di produzione certificata (+7% dal 2017), 371 milioni il valore alla produzione (+39% dal 2017), 150 milioni il valore all’export (-4% dal 2017), oltre 93.500 ettari per la produzione ortofrutticola a Ig, pari al 9% circa della superficie ortofrutticola italiana. E più di 21.200 gli operatori, la maggior parte dei quali produttori”.
“La dinamica complessiva 2017-2021 dell’ortofrutta Ig registra un incremento del 7% dei quantitativi certificati – ha aggiunto Schiano – Questa figura ci aiuta a comprendere che l’ortofrutta Ig comprende segmenti con caratteristiche molto differenti e con dinamiche di produzione, distribuzione, mercato e consumo molto diverse. Le strategie commerciali e di marketing devono necessariamente tener conto di queste differenze. Se la frutta fresca ha una dinamica sostanzialmente negativa, la frutta a guscio ha una dinamica altalenante legata essenzialmente alla performance della Nocciola Piemonte Igp. Le altre categorie evidenziano una tendenza positiva ma è opportuno fare gli opportuni distinguo tra agrumi e restanti categorie”.
Dopo l'inquadramento di Schiano Lo Moriello, la tavola rotonda alla quale hanno partecipato responsabili della Gdo e di alcuni consorzi di tutela ha permesso di analizzare potenzialità e difficoltà nella valorizzazione (non solo nel reparto ortofrutta) di queste eccellenze.
Anna Garofalo, presidente del Consorzio di tutela dei Fichi di Cosenza Dop ha raccontato come è nato il consorzio: “Il rapporto tra Cosenza e la coltivazione (e, ancor più, la trasformazione) del fico è un fatto documentato e attestato da secoli. L’esigenza di tutelare questa straordinaria storia che lega il nostro territorio a un prodotto così eccellente e diverso dagli altri nasce dalla invasione dei prodotti di importazione, perlopiù turca, avvenuta sui mercati negli anni Novanta. In quel momento, è scattata l’esigenza di tutelare e promuovere un prodotto, il nostro, dotato di caratteristiche uniche, che lo rendono specialmente vocato alla trasformazione e, quindi, a un consumo estremamente vario”.
Vito Busillo ha invece ricordato come è nata l'idea di tutelare il prodotto rucola della piana del Sele con la costituzione del Consorzio che presiede. “Il nostro è un consorzio giovane e ambizioso, attivo da soli due anni, ma che già costituisce un traino importante per l’economia del territorio salernitano – ha detto – Nell’areale della piana del Sele, sono infatti le verdure da IV gamma a rappresentare la produzione principale e, all’interno di questo comparto, il valore di produzione aggregato fatto registrare dalla rucola equivale al 50% del totale. Se poi aggiungiamo che oggi circa l’85% della rucola consumata in Italia proviene dalla piana salernitana, comprendiamo che tipo di ricaduta socio-economica abbia oggi la valorizzazione della Igp per il territorio”.
A Leonardo Odorizzi della rete di imprese La Grande Bellezza Italiana il compito di introdurre la Clementina del Golfo di Taranto Igp. “La clementina è di origine algerina ma, a fare la differenza, è stato il miglioramento della specie successivo alla sua importazione in Italia il secolo scorso. Proprio il miglioramento delle tecniche agronomiche, al pari della capacità di fare squadra tra produttori e sviluppare una capacità di rifornire il mercato in modo continuo e puntuale, sono alla base dell’importanza della denominazione Igp. Tutto questo, però, non basta – ha osservato l'imprenditore – La clementina del Golfo di Taranto è un prodotto Igp dal 2003, eppure è ancora indietro perché non ha mai sviluppato un progetto di filiera compiuto. Da circa quattro anni, La Grande Bellezza Italiana ha intrecciato l’esperienza sul territorio di alcuni produttori che garantiscono un prodotto di qualità. Prodotto che noi provvediamo a dotare di quelle caratteristiche di servizio e di storytelling, che oggi sono fondamentali per approdare sui banchi dei reparti ortofrutta della Gdo”.
Il valore Ig nella Gdo
Coop Italia valorizza ampiamente le Ig all’interno del reparto ortofrutta tramite la private label, che cuba a valore circa il 92% delle vendite. “Più che sviluppare un assortimento a tappeto su tutte le categorie, in questi anni abbiamo preferito eleggere alcuni prodotti testimonial – ha spiegato Germano Fabiani, direttore acquisti ortofrutta di Coop – Troviamo, infatti, molto complesso intercettare filiere capaci di reggere il passo, anche perché molto spesso i capitolati dei prodotti ortofrutticoli Dop e Igp sono fin troppo permissivi. Per noi, le indicazioni ad origine non devono solo raccontare la vocazione di un territorio verso alcune produzioni, ma anche e soprattutto la storia dei luoghi; per questo motivo, ad esempio, non abbiamo declinato all’interno dei nostri assortimenti un prodotto quale il kiwi Latina Igp”.
Un tema centrale nel rapporto di fiducia che una Igp deve stabilire con il consumatore finale è il pricing: la determinazione del prezzo. “Un aspetto che va senz’altro gestita con le catene della Gdo – ha chiarito Odorizzi – stando attenti a non cadere in due pericolosi equivoci. Il primo, Igp non è sinonimo di prodotto migliore o più sicuro, ma invece di specialità in grado di raccontare il territorio attraverso alcune caratteristiche varietali ben precise. Il secondo equivoco riguarda l’inganno delle oscillazioni di prezzo. Per un consumatore, scoprire dopo l’acquisto che in un punto di vendita diverso avrebbe pagato di meno in promozione lo stesso prodotto che ha comprato a prezzo intero è un’esperienza mortificante. Occorre quindi aprire una riflessione sulla necessità di stabilire un prezzo medio equo, che sicuramente sarà superiore a quello di un prodotto non Dop/Igp, con il solo obiettivo di giustificarne le caratteristiche differenzianti”.
Peraltro, Fabiani ha sottolineato un aspetto legato al ruolo dei consorzi che “oggi sono chiamati a valorizzare il prodotto, mentre non è loro compito commercializzarlo. Mi domando se sia ancora attuale questo modello e se tutto questo non giochi a sfavore della redditività delle produzioni per i singoli soci produttori”.
“Noi lavoriamo in un territorio che produce soprattutto mele e uva da vino – ha detto Manuel Bonadio, buyer ortofrutta Seven Spa, Supermercati Poli – Il cliente riconosce il valore di queste produzioni locali e iperlocali. Piuttosto, per noi, non è facile trovare produttori in grado di cambiare radicalmente il loro core, spostandosi su altre produzioni ortofrutticole. In particolare, le difficoltà del nostro territorio riguardano l’assenza di un tessuto di aziende di trasformazione e la mancata volontà da parte di tanti fornitori di lavorare sul pack e su altri contenuti di comunicazione che permetterebbero anche a noi di svolgere il nostro lavoro in modo più semplice, comunicando meglio i valori dell’ortofrutta al cliente finale”.
Comunicare il patrimonio culturale delle Ig
L'idea di comunicare le caratteristiche uniche dei Fichi di Cosenza è alla base delle più recenti strategie di comunicazione adottate dal Consorzio di tutela. “Non solo – ha precisato Anna Garofalo – trova perfetta adesione con il nostro pay-off, Assapora i nostri valori. Non ci fermiamo ad attività promozionali di tipo tradizionale, quali, per esempio, la kermesse Fichi Festival, lanciata nel settembre del 2022, ma ci spingiamo su forme di comunicazione unconventional, come il lancio di una linea di gioielli e abiti che intendono comunicare la preziosità del nostro prodotto al consumatore finale”.
Indicazione geografica, si è detto, è anche sinonimo di valorizzazione culturale. “Sfruttando gli archivi della Scuola Medica Salernitana (la prima facoltà di medicina d’Europa, seconda nel mondo solo a quella di Rabat, ndr), abbiamo recuperato fonti letterarie di ogni tipo, da Plinio a Dante Alighieri, che raccontano degli incredibili effetti curativi e nutritivi della rucola, finanche del suo potere afrodisiaco. Questo è un vero e proprio patrimonio culturale, che racchiude informazioni delle quali il consumatore finale si nutre e che, perciò, dobbiamo continuare a proporre su tutti i mezzi di comunicazione, in un’ottica di promozione sempre più intensa e mirata“, ha ribadito Vito Busillo, che ha proseguito: “Il Pnrr, in tal senso, ci viene incontro e ci permetterà nel prossimo futuro di puntare allo stanziamento di 4 milioni di euro in budget pubblicitario; in questo modo, potremo attaccare il mercato attraverso un’intensa promozione televisiva e massmediale, che punti sia a far conoscere il prodotto, sia ad agire in reparto sul momento dell’acquisto, grazie all’interazione del consumatore con il pack e con una serie di contenuti multimediali di approfondimento”.
“Tutto questo, però, poggia su una condizione imprescindibile – ha terminato – Una stretta collaborazione, per certi versi una co-marketing permanente con il mondo della Gdo. Per noi, la distribuzione vale circa l’85% del fatturato dei nostri consorziati. Noi siamo rispettosi dei ruoli e non intendiamo sconfinare in aspetti di commercializzazione del prodotto che – per natura – non ci appartengono, ma non possiamo continuare a permettere la svalutazione del prodotto perpetrata attraverso un posizionamento di prezzo non sempre corretto. Proprio per questo motivo, abbiamo avviato con Ismea e Coldiretti uno studio di pricing volto a stabilire qual è per noi il prezzo al pubblico minimo. Si tratta di un primo, importante passo verso il più ambizioso dei progetti: quello di espandere il comparto della rucola salernitana fino al suo massimo potenziale (300 milioni di euro di fatturato annuo), così da portarlo nella top-5 dei consorzi di tutela italiani”.