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18 luglio 2024

Energia alla città con agrivoltaico

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La campagna  resta fondamentale per la crescita della città.  Lo è stata per millenni  con il cibo ora con l'energia. Soprattutto oggi che si deve decarbonizzare, abbandonare le fonti fossili, e serve  energia prodotta nel territorio. Non bastano i tetti degli edifici, i parcheggi, le pensiline delle stazioni in versione fotovoltaico. Qui entra in scena l'agricoltura e soprattutto l'agrivoltaico ovvero quegli impianti estesi di pannelli alzati da terra che garantiscono oltre la produzione di energia, la riduzione dei consumi idrici, la protezione del suolo e delle piante da troppo sole e troppa acqua.

Oggi a Bologna si è presentato il progetto di un nuova azienda di energia green, si chiama GreenGo ed è nata nel 2018 come startup per la progettazione e la realizzazione di impianti innovativi in co-gestione, che dedica all'agrivoltaico ben 880 MWp visto che la produzione totale, compreso eolico e fotovoltaico tradizionale, arriva a  1,3 GW (più  300 MWp di strutture per lo stoccaggio attraverso gli accumulatori). 

Bologna con le aree agricole e rurali può raggiungere l'autonomia energetica

All'evento di presentazione, in prima fila il ceo di GreenGo Giuseppe Mastropieri, insieme al dean della Luiss Business School Raffaele Oriani, e l’assessora alla missione clima 2030 del Comune di Bologna, Anna Lisa Boni. Presenza importante anche per offrire all'opinione pubblica un dato importante: "Con una percentuale dello zero virgola di suolo delle aree agricole dell'area metropolitana di Bologna -sottolinea Boni - riusciamo a garantire l'autonomia energetica alla città. Non bastano purtroppo i tetti degli edifici o i parcheggi. Stiamo, quindi, autorizzando tutte le pratiche relative alle aree agricole".

Si privilegia l'agrivoltaico

L'assessore Boni ci tiene a precisare che "siamo assolutamente d'accordo con l'agrivoltaico che valorizza le produzioni agricole in senso ambientale e le rende anche competitive, abbiamo perplessità sul fotovoltaico con gli impianti a terra".  Un punto che divide alcuni, ma non tutti, i fautori della transizione energetica. C'è chi pensa sia giusto puntare su una produzione maggiore e più economica su terreni marginali.

L'agrivoltaico a Bologna, in Calabria e Sicilia

Il ceo Giuseppe Mastropieri ha descritto i progetti sull' agrivoltaico: "Stiamo lavorando con l'Università di Catania per la scelta delle piante, in questo caso officinali, che maggiormente si prestano all'agrivoltaico. Non è una scelta semplice e noi vogliamo garantire un buon risultato anche agronomico. Siamo abbastanza avanti a San Giovanni in Persiceto, all'interno della città metropolitana di Bologna, dove con un buon accordo con il proprietario dell'area agricola stiamo lavorando sulla coltivazione della canapa". E poi la Calabria. 

Mastropieri sul bando agrivoltaico, scade il 2 settembre ed è finanziato con risorse del Pnrr, non ha nascosto la complessità della materia per i diversi adempimenti e anche per alcune questioni tecniche: "Non va molto bene nelle aree molto ventose perché si tratta di strutture rialzate da terra. Il bando presenta delle sfide di tipo burocratico e si sente parlare di una possibile proroga, Ma essendo legato al Pnrr bisogna completare l'investimento entro dei termini stringenti". Se non si riesce bisogna restituire i contributi, quindi è fondamentale lavorare con la massima attenzione. 

Lo sviluppo della società: forte attenzione all'agrivoltaico 

“Siamo già pronti a partire con la realizzazione di impianti per 200 MW – ha spiegato Mastropieri -, i primi passi di una roadmap che ci porterà da oggi al 2029 a un parco di circa 80 impianti, sia di produzione sia di stoccaggio, per circa 1,7 GWp. Prevediamo di arrivare nel 2029 a produrre circa 2,8 GWh di energia pulita, di cui circa 2 da impianti al 100% di nostra proprietà e gestione. Lo faremo investendo in particolare nella nostra formula di agrivoltaico sostenibile, che abbiamo sperimentato e studiato in importanti impianti pilota in Sicilia orientale grazie alla collaborazione scientifica con l’Università di Catania. Abbiamo dimostrato che le colture, sotto i pannelli, necessitano di meno irrigazioni, e parallelamente riusciamo a utilizzare superfici altrimenti inattive, sostenendo anche lo sviluppo della biodiversità e l’apertura degli spazi alla fruizione del pubblico”.


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