15 aprile 2015

Export ortofrutta. Aggregazione e innovazione le parole d’ordine al seminario di Fruit Innovation

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Fare sistema e aggregazione. Affrontare i mercati esteri con modelli di business, analisi di mercato e strategie di collaborazione differenti a seconda degli scenari che di volta in volta si incontrano. Questi i temi cardine affrontati martedì 14 aprile a Milano durante il seminario dal titolo “L’internazionalizzazione dell’impresa ortofrutticola: risposte concrete ad esigenze emergenti” organizzato in collaborazione con la società SG Marketing da Fruit Innovation. Una sorta di anticipazione per la nuova fiera organizzata dalla joint-venture tra Fiera Milano e Ipack-Ima.

Nella sala del Palazzo delle Stelline sono saliti sul palco mostrando le loro case history all’estero Gerard Dichgans, direttore generale di Vog, Bert Barmans, general manager di Zespri e Angelo Benedetti presidente di Unitec, preceduti dalle presentazioni sullo scenario internazionale del mondo ortofrutticolo di Marco Salvi, direttore generale della Salvi-Unacoa e presidente di Fruitimprese, e Claudio Scalise, managing partner di SgMarketing. Tra gli interventi, inoltre, anche quello di Nicolò Tagliarini, country manager di Caviro Russia. Non presenti, invece, rispetto al programma annunciato, Massimo Bragotto, direttore commerciale de La Linea Verde e di Luca Bianchi, capo del dipartimento delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Mipaaf.

L’export ortofrutticolo è di fatto la prima voce all’interno dell’agroalimentare italiano se sommiamo frutta fresca (9,2%), ortaggi e legumi (4%) e trasformati (8,8%). Il 22%, un punto percentuale al di sopra delle bevande. Su circa 24 milioni di tonnellate di produzione annua, solo 8/9 milioni vengono commercializzati sul mercato interno, quindi l’export, che già sta facendo passi importanti in avanti, non può, e non deve, che salire.

Cresciamo, quindi, ma dobbiamo ancora migliorare, ha sottolineato Marco Salvi “Ci dobbiamo confrontare con le barriere sanitarie. Non basta recarsi con la valigetta nei paesi per vendere i prodotti perché se non c’è l’accordo da questo punto di vista non si può esportare. Basterebbero alcuni mercati, per esempio il Giappone, verso il quale possiamo esportare solo le arancie che però non riescono ad arrivare lì nelle migliori condizioni e quindi funziona solo il trasformato”. Ma ci sarebbero altri paesi verso i quali non possiamo esportare e che rappresenterebbero importanti opportunità di business per le aziende italiane. “Dobbiamo perseguire una politica di espasione commerciale che venga promossa anche dalle nostre istituzioni. Si stanno facendo delle cose interessanti anche se i risultati ancora non si vedono, ma bisognerebbe coinvolgere anche le imprese perché potrebbero dare una direzione precisa ai nostri governanti per spendere bene i soldi. Noi sappiamo quali sono i mercati che ci cinteressano”.

Fondamentale, poi, osservare con attenzione i cambiamenti negli scenari internazionali, aspetto evidenziato sia da Marco Salvi che da Claudio Scalise: se, infatti, la Germania continua ad essere un mercato di riferimento per il nostro export ortofrutticolo bisogna anche sottolineare un calo, sia per quanto riguarda la frutta che gli ortaggi: dal 2010 al 2014 siamo scesi sotto le 900mila tonnellate. L’export italiano, però, cresce nei mercati extra Ue, tanto che valgono oramai il 19% del totale esportato dall’Italia: una crescita, a volume, dal 2004 al 2014, del 220% (poco sotto le 800mila tonnellate) a fronte di un aumento del 10% dell’export verso i paesi della comunità europea (sopra i 3 milioni di tonnellate).

A questo proposito Gerard Dichgans ha ben evidenziato non solo l’importanza dei mercati esteri per un attore fondamentale della filiera melicola italiana com Vog, ma anche i cambiamenti avvenuti, per esempio, dal 1999 a oggi. È cambiato lo scenario produttivo (grande incremento delle nuove varietà rispetto a quelle classiche) e sono cambiati anche i mercati: “L’Italia per Vog valeva il 60% 15 anni fa mentre oggi il 35%. Soffrono anche mercati storici come la Germania che nel 1999 valeva il 25% del nostro export e oggi il 20%, e sta ancora scendendo”. Dove rivolgersi allora? Oggi è diventato fondamentale il bacino del Mediterraneo, che cresce con costanza e in futuro potrebbe essere il sud est asiatico l'area da affrontare “ma anche in questo caso ci sono le solite assurde barriere fitosanitarie”. Per quanto riguarda gli Stati Uniti “c’è l’orgoglio di essere riusciti ad andarci, ma per ora non sappiamo se realmente il gioco se vale la candela. Producono anche loro mele e vendere lì è costoso e molto difficile”

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