Lo scorso primo gennaio, come anticipato da myfruit.it, è scattato l'obbligo in tutta l’Unione europea di indicare in etichetta l’origine della frutta secca sgusciata. Un provvedimento teso alla trasparenza che aiuterà a distinguere chiaramente il luogo di origine del prodotto da quello di confezionamento e che riguarda mandorle, nocciole, pistacchi e fichi secchi, ma anche funghi non coltivati, i capperi e lo zafferano.
Non si tratta dell'unica novità che il nuovo anno porta al segmento della frutta in guscio. Il 2025, stando alle previsioni, sarà infatti un anno all'insegna dei rincari.
Tra climate change e svolta healthy
Lo scenario è complesso. Da un lato a mettere a dura prova le produzioni di tutto il mondo sono i cambiamenti climatici, che tra siccità anomala e piogge insistenti, fanno crescere i costi di produzione, fanno diminuire le rese e causano ritardi sia nelle operazioni di raccolta, sia nei processi logistici, con posticipi delle spedizioni.
A fare da contraltare c'è la svolta healthy dei consumatori: la frutta secca è, a ragione, ritenuta un toccasana salutistico e pertanto, inevitabilmente, la domanda di noci, mandorle, pistacchi, ecc. è non soltanto in crescita, ma pure destagionalizzata, dunque non più concentrata solo nel periodo natalizio.
Crescono i consumi
A confermare l'impennata dei consumi sono i dati Circana relativi alla Gdo e al largo consumo che indicano, a ottobre 2024, una crescita che sfiora l'8% per la frutta secca a volume, con una netta predominanza della frutta sgusciata su quella in guscio. Mandorle e pistacchi crescono del 10%, gli anacardi del 27 per cento.
Sulla stessa lunghezza d'onda l’analisi di Coldiretti basata su dati Ismea-Nielsen, secondo la quale nel 2023 le famiglie italiane hanno acquistato 115 milioni di chili di frutta secca, per una spesa di 1,1 miliardi. Una stima che arriva a 640 milioni di chili se si conta anche la frutta secca impiegata come ingrediente nelle preparazioni dolciarie. Sempre secondo Coldiretti, il mercato italiano della frutta secca nello scorso anno ha raggiunto un fatturato di oltre 800 milioni con una crescita dell’8,5% sull’anno precedente.
I rincari per datteri, fichi secchi e noci
A crescere però sono anche i prezzi. Per esempio, analizzando l'andamento dei datteri, secondo Onagri (l’Osservatorio nazionale agricoltura della Tunisia) le esportazioni di quelli tunisini durante i primi quattro mesi della campagna 2022-24 hanno raggiunto poco più di 70mila tonnellate, per un valore di 135 milioni. Il che significa, rispetto allo stesso periodo della campagna 2022-23, un incremento del 18,9% a volume e del 23,4% a valore.
Negli ultimi mesi, però, la situazione si è fatta più complessa, con alcuni operatori che hanno segnalato qualche rottura di stock. Il che, a cascata, si tradurrà in rincari stimati in circa il 5% in più.
Ma non sono solo i datteri a subire l'incremento dei prezzi. La stessa sorte tocca ai fichi secchi provenienti da Turchia e Grecia, che quest’anno hanno prezzi triplicati. E cresce, presumibilmente, anche il prezzo delle noci. Per quelle californiane, come spiegato da myfruit.it, la produzione 2024 è stata stimata in 670mila tonnellate, il 19% in meno rispetto al 2023 (824mila tonnellate). Dunque, a fronte della domanda crescente, un'offerta più bassa, che difficilmente verrà ricompensata con le produzioni di altri areali.