L’annata agricola 2022 ha risentito fortemente sia della situazione contingente (rincaro delle materie prime, aumento dei prezzi di carburanti, concimi, energia elettrica, ecc.), sia di un contesto climatico mai così avverso. Alla luce di tutto questo, si stanno delineando gli scenari in cui dovrà muoversi anche il comparto della frutta secca.
Partendo dalle nocciole, di cui l’Italia è il secondo produttore mondiale, il problema principale dell’annata in corso non è rappresentato solo dai prezzi, più bassi rispetto allo scorso anno (in un contesto globale, appunto, fatto di aumenti e rincari), ma anche da un fenomeno che si sta sempre più facendo strada nella Tuscia, una delle regioni a maggiore vocazione corilicola di tutta la Penisola. Sono infatti sempre più i corileti e i terreni in vendita, sintomo di un comparto in sofferenza. Non va dimenticato, del resto, che questo areale è stato letteralmente massacrato a livello agricolo dalla gelata tardiva del 2021 e, nel 2022, l’annata è stata ovviamente più discreta ma non certo eccezionale. Diversi agricoltori, in altri termini, si stanno ponendo domande riguardo alla convenienza o meno di investire sulle nocciole, una questione che solo fino a qualche anno fa aveva una risposta ovvia, mentre oggi non è più scontata. Sempre in tale ambito, va però anche rilevato che in altre zone (centro – nord Italia) continuano a essere messi a dimora nuovi impianti, perché in fin dei conti la domanda globale continuerà verosimilmente a salire. Si tratta di vedere, appunto, se sarà conveniente; per questo, oggi, chi investe sulla nocciola ha davanti sostanzialmente due strade: o fare contratti di filiera a lungo termine (ad esempio il progetto Nocciola Italia di Ferrero), o investire sulla qualità e la trasformazione del proprio prodotto (la figura del “contadino pasticcere”, che dal Piemonte sta sempre più scendendo anche verso sud). Queste due vie, peraltro, mettono abbastanza al riparo da uno spauracchio che incombe costantemente quando si parla di nocciole: la Turchia (quasi il 70% della produzione mondiale), che giocoforza detta il prezzo a livello globale.
Il tema global tocca da vicino altre importanti referenze sul fronte della frutta secca: noci, castagne e pinoli.
Per le noci la campagna 2022 è stata sostanzialmente positiva, ma c’è sempre il problema dell’arrivo del prodotto estero, in particolare californiano, pronto a fagocitare il mercato. E, in un contesto dove il potere d’acquisto del consumatore si sta riducendo, è facile prevedere quali potrebbero essere le scelte a scaffale.
Nelle castagne si riscontra il medesimo problema, unitamente al fatto che, data la grande abbondanza di prodotto e un clima anomalo (molto caldo in ottobre), i prezzi sono crollati e la campagna commerciale ha perso un mese. L’anno appena trascorso, però, ha rafforzato tra diversi produttori una convinzione per il futuro: i nuovi ibridi che arrivano dall’Oriente piacciono poco, seppure siano belli da vedere. Meglio rimanere, quindi, sulle varietà tradizionali, tanto che c’è chi sta ritornando sui suoi passi.
Dopo anni di grande magra, invece, i pinoli stanno dimostrando una timida inversione di tendenza. Anche in questo caso, però, i prezzi sono in calo e la concorrenza di prodotto estero sgomita, seppure la qualità sia nettamente inferiore.
C’è soddisfazione, invece, sul fronte del pistacchio, che spunta buone quotazioni. In attesa di capire come sarà la campagna 2023 del Bronte Dop, continua a essere molto dinamica anche la situazione in casa del Pistacchio di Raffadali Dop, con la base sociale in crescita.
Un lungo discorso, infine, meriterebbe un’altra eccellenza come la mandorla, che in parte soffre ancora un effetto “long Covid” (confetteria praticamente ferma durante la pandemia) e teme, come altre referenze, la concorrenza di prezzo californiana. Confortano, però, progetti di rilancio della coltura che sono presenti specialmente in Puglia.
A livello generale, quindi, il comparto della frutta secca italiana è alla finestra in questo 2023, in attesa di capire come evolveranno i listini e la questione dei costi di produzione. Una cosa è certa: c’è necessità di interventi urgenti perché un andamento schizofrenico come il 2022 non si può sopportare a lungo. Per vedere il bicchiere mezzo pieno, bisogna rispolverare un vecchio tema, quanto mai valido e attuale: la qualità. Che bisogna saper farsi pagare.