22 maggio 2015

Gdo e ortofrutta. Alla ricerca di una difficile sintesi

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È il primo reparto che si incontra entrando in un supermercato. Il suo biglietto da visita. L’ortofrutta si trova in una posizione strategica e decisiva, ma altrettanto delicata, da maneggiare con cura, altrimenti da opportunità può trasformarsi in un problema. “E se c’è qualcosa che non va, il consumatore giudica e non si adatta. Il consumatore è oramai in libera uscita, cambia supermercato”. L’incipit di Luigi Rubinelli, deus ex machina di RetailWatch.it, chiamato a moderare e organizzare la tavola rotonda dal titolo “L’Ortofrutta si riempe di servizio e comunicazione” durante la prima edizione di Fruit Innovation di Milano, lascia subito intuire che non sarà un classico e pacifico convegno di settore. La folla c’è e le attese alla fine vengono sicuramente ripagate da quello che si è visto e sentito.

Tra i relatori chiamati da Rubinelli per introdurre la tavola rotonda è stato certamente Daniele Tirelli, presidente di AMAGI e manager di lungo corso con esperienze di responsabilità in istituti di ricerca di mercato come ACNielsen e IRI Infoscan, a lanciare gli spunti più dibattuti dagli ospiti (oltre a lui Riccardo Guidetti, professore del Dipartimento di Sicenze Agrarie e Ambientali la dell’Università degli Studi Milano e Massimo Bolchini, Standard Development Director di GS1 – Indicor-Ecr ).

Dati e suggestioni su cui si sono controntati Giuseppe Zuliani, direttore customer marketing e comunicazione di Conad, Claudio Mazzini, responsabile del settore ortofrutta di Coop Italia, Giovanni Panzeri, direttore freschi di Carrefour Italia, Giuseppe Battagliola, presidente de La Linea Verde e Luigi Barbuto, direttore sviluppo e strategie commerciali di Bonduelle Italia.

Clienti o consumatori?
«Dobbiamo uscire dalla logica del “consumatore” in Italia e arrivare a quella di “cliente”». I consumatori consumano a casa anche dopo giorni, anche il fresco, i clienti comprano nel punto vendita. Su questo aspetto sono d’accordo tutti, a partire da Zuliani di Conad: «Mettere al centro il cliente è perfetto. Noi dovremmo avere una relazione con i clienti prima, durante e dopo l’acquisto». Però nel mondo del fresco e del freschissimo “i dati a disposizione sono pochi e quindi è difficile iniziarare a pianificare una strategia”. Per Mazzini di Coop il rapporto da instaurare è con i “cittadini”, prima ancora che con i “consumatori” o i “clienti”: «Noi nel supermercato del futuro di Expo stiamo cercando di fare proprio questo attraverso le informazioni che stiamo mostrando come sia possibile fornire».

Cultura ortofrutticola, questa sconosciuta
Quale è il livello di conoscenza dei consumatori/clienti quando si parla di ortofrutta? I dati forniti da Tirelli mostrano che la strada da percorrere verso una cultura diffusa sui principali prodotti ortofrutticoli è ancora lunga. Qualche esempio? Le pere, frutto quanto mai sotto i riflettori in questo momento, secondo la maggior parte degli intervistati hanno nel Sud Italia il loro areale d’elezione (e non in Emilia Romagna). Le più saporite? Sono di montagna e di piccolo calibro! Davanti a delle foto di diverse varietà, solo il 43% riconosce la più coltivata nel nostro paese, vale a dire la Abate Fétel. La musica non cambia neanche con le fragole: il 50% non sa riconoscere alcuna varietà (solo il 6% sa che esistono le Candonga, giusto per citare quelle più gettonate in questo momento), mentre il 26% dichiara di conoscere le misteriose Sanguinella di Sicilia, che però non esistono! Quali varietà di uva da tavola conosciamo? Poco o niente e, soprattutto, tra le regioni che ne producono di grande qualità vengono in mente Toscana e Piemonte, grandi produttori di uva da vino, ma che evidentemente è un’altra cosa. Insomma, gli italiani pensano di sapere e avere familiarità con frutta e verdura, ma non è così.

A chi spetta la formazione? Produzione o distribuzione?
Negli Stati Uniti alcune insegne indipendenti dettano la linea in termini di diffusione della conoscenza ortofrutticola al cliente: c’è chi organizza corsi e seminari, chi in apposite aree organizza scuole di cucina. Ma anche la comunicazione nel reparto ortofrutta è differente ed enfatizza chi sta dietro una produzione cercando di uscire dall'anonimato che caratterizza frutta e verdura. E in Italia? Chi dovrebbe fare formazione ai clienti/consumatori? Il dibattito è stato anche acceso e in parte si è assistito ad una sorta di ping pong di responsabilità, come prevedibile, tra produzione e distribuzione. Perché, per esempio, il settore della IV gamma non spiega come mai il costo di una busta di insalata già lavata e tagliata è 6 volte superiore all’equivalente sfuso, ma da preparare? «Perché sarebbe come confrontare il prezzo della farina con quello della torta già pronta» ha risposto Battagliola de la Linea verde. «È un tema che andrebbe affrontato a 360°» ha continuato Barbuto di Bonduelle. Giuseppe Zuliani di Conad ha ricordato il caso di Nucis Italia nel comparto della frutta secca, che associa le principali aziende di settore con l’obiettivo promuovere e finanziare ricerche scientifiche sui contenuti salutistici della frutta secca. «È un modello da seguire, perché noi non possiamo farlo direttamente, per legge, altrimenti veniamo accusati di concorrenza sleale». In pochi anni, in effetti, la considerazione del consumatore sulla frutta secca è completamente cambiata: da buona ma calorica a buona e salutare.

Si compra a seconda della funzionalità d’uso
Dalla possibilità di sperimentare anche in Italia formule di successo all’estero come quella della “frutta brutta ma buona”, operazione lanciata per esempio della catena francese Intermarché, all’esigenza di rivedere l’intera filiera – «Mi spiace per i grossisti, ma più accorci la filiera, meglio è» ha affermato Panzeri di Carrefour Italia – il dibattito è proseguito a ritmo a tratti incalzante. Su un aspetto tutti sembrano essere d’accordo: i consumi sono cambiati e un tavolo comune di analisi tra produzione e distribuzione sembra sempre più necessario. È probabilmente il paradigma dell’offerta di frutta e verdura che deve cambiare. «Il consumatore che vuole la pesca di Volpedo con 19 gradi brix e le zucchine scalibrate è lo stesso» ha sottolinetato Mazzini di Coop Italia. «Compra una o l’altra a seconda della funzione d’uso. Non a caso da noi cresce la richiesta di prodotti convenienti e allo stesso tempo di altissima gamma. Ma non sono consumatori diversi, sono gli stessi. Abbiamo industrializzato un prodotto, ma probabilmente dobbiamo tornare indietro».

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