Dietro front dei giudici di Palermo. Tredici punti di vendita della società Gamac - insegne Conad eTodis - accusati di essere implicati con fatti di mafia sarebbero invece estranei a situazioni illegali. Possono dunque essere riconsegnati al legittimo proprietario, l'imprenditore Carmelo Lucchese.
E' quanto ha stabilito il Tribunale delle misure di prevenzione del capoluogo siciliano che, indagini alla mano, sono tornati indietro sulle decisioni prese qualche anno fa.
I fatti
Per capire che cosa sia successo in Sicilia occorre riavvolgere il nastro e tornare al 2021 quando venne disposto il sequestro per la Gamac, società con sede legale a Milano e base operativa a Carini (Palermo), la quale gestisce una catena di supermercati a marchio Conad e Todis tra Palermo e provincia per un valore stimato (all'epoca) in 100 milioni.
La Guardia di finanza che eseguì il provvedimento squestrò un patrimonio di 150 milioni a Carmelo Lucchese, oggi 57 anni, l’imprenditore capace di sviluppare l’attività di famiglia fino a farla diventare un impero della grande distribuzione alimentare.
Secondo gi investigatori, una crescita possibile grazie al supporto della mafia e in particolare delle cosche di Bagheria.
"In una logica di reciproco vantaggio - spiegarono tre anni fa gli investigatori - l'imprenditore ha remunerato con ingenti somme gli esponenti mafiosi, assumendo anche loro familiari nei propri punti di vendita, quale riconoscimento del loro determinante intervento in momenti cruciali nel percorso di espansione commerciale dell'attività imprenditoriale. In coincidenza temporale con i più significativi interventi della mafia in favore della Gamac si è registrata una crescita esponenziale della società che si è trasformata da impresa familiare in una realtà in forte sviluppo che ha incrementato costantemente il proprio volume d’affari arrivando a fatturare oltre 80 milioni nel 2019".
Le accuse formulate dal Tribunale discendevano anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia fra i quali Sergio Rosario Flamia.
Quest'ultimo, infatti, accusava Lucchese di collegamenti loschi, anche con chi favorì la latitanza di Bernardo Provenzano (arrestato nel 2006 dalla Procura di Palermo).
Secondo le dichiarazioni di Sergio Rosario Flamia, Carmelo Lucchese avrebbe predisposto un appartamento per ospitare il latitante Provenzano. Inoltre, sempre secondo Flamia, Lucchese sarebbe stato esonerato dal pagamento del pizzo (fino al 2011) proprio per la sua ipotetica militanza mafiosa.
Il 19 maggio del 2022 i beni di Carmelo Lucchese, in quella circostanza definito re dei supermercati a Palermo, passarono allo Stato.
Il passo indietro
"Non può ritenersi che la società Gamac - scrive ora il presidente del tribunale Aldo De Negri - abbia assunto i tratti caratteristici dell’impresa mafiosa in senso tecnico con la conseguente compromissione del suo intero patrimonio".
In altre parole, i giudici oggi ritengono che la testimonianza di Flamia no sia affidabile.
I punti di vendita sono autonomi
"L’asserita protezione di cui avrebbero goduto le aziende di Lucchese è smentita dalle numerose denunce relative a furti, incendi di automezzi e rapine subite dalla Gamac tra il 2003 e il 2019 - scrivono i giudici - Ma anche dalla documentazione relativa a un procedimento penale avviato nel 2010 per una rapina con tentato omicidio e lesioni a due dipendenti e dalla documentazione attestante l’importante investimento effettuato dalla Gamac a partire dal 2012 per fornire tutti i propri punti di vendita di casse automatiche".
I giudici, infine, ritengono utile alla riabilitazione di Lucchese la relazione degli amministratori giudiziari che hanno gestito i beni confiscati e che hanno confermato l’autonomia dei punti di vendita, risultati autosufficienti dal punto di vista imprenditoriale. I quali, quindi, ora possono tornare al leggitimo proprietario.