«Se, in tema di sostenibilità, abbiamo bisogno di un cambiamento, ancor prima dell'industria è la Gdo a dover dare l'impulso e a dover rivestire un ruolo centrale, soprattutto perché multicategoria e più vicina al consumatore».
Ne è convinto Marco Repezza, consulente retail & trade-marketing, con il quale abbiamo fatto il punto circa il futuro intrapreso dalla grande distribuzione. Futuro che si impernia su due grandi temi: sostenibilità – intesa a 360 gradi, quindi dal packaging al risparmio energetico, passando per il bio – e gusto, soprattutto per quanto riguarda il reparto ortofrutta.
Eliminare la plastica? «La Gdo deve indirizzare»
Partendo dalla sostenibilità, la notizia è costantemente protagonista dell'informazione: bisogna eliminare la plastica. Con l'aiuto della Gdo, secondo Repezza, questo obiettivo si può raggiungere anche prima rispetto ai dettami delle direttive europee. Vi sono, infatti, già alcuni esempi in atto, basti pensare alle iniziative di NaturaSì, che ha moltiplicato gli Ecopoint, oppure a Coop, che fa della riduzione dell'impatto ambientale uno dei pilastri del suo lavoro.
«Le iniziative in Italia non mancano – ha precisato Repezza – ma non possiamo ancora confrontarci con altri paesi, Inghilterra in primis». Gli inglesi restano dunque il benchmark: i retailer inglesi sono i primi ad aver attuato politiche di eliminazione o riduzione della plastica dai propri punti di vendita o linee di private label. Naturalmente si tratta di mettere in atto un circolo virtuoso: la grande distribuzione dovrebbe “indirizzare”, ma anche il consumatore italiano dovrebbe per lo meno provare a modificare il proprio comportamento.
«Il consumatore in senso lato è sempre più europeo – ha spiegato Repezza – ma c'è ancora parecchio da fare: per esempio soluzioni semplici, ma impattanti, come l'utilizzo della retina per acquistare frutta e verdura, sono ancora poco diffuse. È un processo che richiede tempo, e pertanto si dovrebbe iniziare con delle proposte sostenibili e non drastiche». Soprattutto nelle categorie dove il packaging, per ovvi motivi, è una componente fondamentale, il prodotto sfuso può anche essere un'alternativa, ma non può essere la prassi: «Eliminare del tutto il packaging – ha spiegato Repezza – significa abbassare in alcuni casi il livello di servizio al consumatore e demolire la storia della comunicazione del brand». Proprio il marketing però potrebbe trarre beneficio dai packaging alternativi alla plastica. «Le confezioni sostenibili potrebbero però essere una seconda opportunità per veicolare gli aspetti valoriali del brand, cosa che nell'ortofrutta è sempre stata difficile – ha ipotizzato Marco Repezza –. Si potrebbe iniziare con la carta riciclata, un prodotto conosciuto dal consumatore e dunque ben percepito. Quanto alle bioplastiche, il limite al momento è certamente nel prezzo».
Ma chi paga la svolta green dei supermercati?
È estremamente difficile, a mio avviso, che i costi siano assorbiti tutti dal distributore e dal produttore. Oggi l'attenzione sul prezzo è ai massimi livelli, il distributore non vuole alzarli. Quello che può fare la Gdo, realisticamente, è rivestire un ruolo nella formazione, nel veicolare consapevolezza. I consumatori infatti ricercano e preferiscono opzioni ecosostenibili, ma ancora pochi sono disposti a sostenerne il costo».
Ma la svolta green non passa solo dalla confezione. «Occorre lavorare congiuntamente sull'efficienza di imballi, logistica e trasporti – ha aggiunto Repezza -. In molti casi non occorrono nemmeno grandi investimenti, ma uno sforzo in termini di razionalizzazione e una volontà congiunta trade-industria».
Un altro ambito importante è il risparmio energetico: anche nel reparto ortofrutta occorre agire per limitare gli sprechi, ma la grande distribuzione deve porre attenzione all'effetto barriera: «le chiusure, gli armadi, da un lato riducono il consumo di energia per una minor dispersione del freddo, dall'altro possono incidere sulle vendite, creando una barriera fisica tra il consumatore e il prodotto. Tali soluzioni sono più sostenibili e adatte per piccole superfici e magari nei prodotti di ortofrutta confezionata e di IV Gamma».
Infine, sul fronte prodotto, in tema di sostenibilità, sono due gli ambiti da indagare: la crescita del biologico e la ricerca del gusto. «Il bio crescerà ancora, per almeno due motivi: perché il consumatore è maggiormente attento e consapevole dei benefici di un'alimentazione sana e perché i prezzi di tali prodotti sono oggi più accessibili. Tant'è che non esiste più il consumatore 100% biologico “integralista”, ma l'offerta risponde a differenti necessità per categoria (consumatori quindi che alternano il convenzionale e il bio)».
Gusto e segmentazione dell'offerta per riconquistare i clienti
Sul fronte del gusto e della qualità del prodotto, invece, la Gdo dovrà lavorare per riconquistare la fetta di clienti persi, coloro che si sono orientati verso altri canali, ossia gli ambulanti, i gruppi di acquisto e, anche, i discounter. Quanto a questi ultimi, in UE il consumo di prodotti ortofrutta acquistati nei discount cresce a doppia cifra, segnatamente il 16-17%. D'altro canto questi punti vendita hanno occupato l'area della prossimità e si sono messi in sovrapposizione diretta con i supermercati della Gdo. Inoltre a questi player si affianca un nuovo canale di vendita, quello on-line: anche se in Italia il valore emozionale nell'acquisto fisico dei prodotti freschi è ancora alto, questo canale è destinato a crescere: «È prevedibile – ipotizza Repezza – che entro in 2030 il peso degli acquisti di ortofrutta on-line in Europa raggiunga quota 7%». Sul fronte del gusto, la chiave di volta sarà la segmentazione dell'offerta in base al target dei clienti: «È immaginabile un'offerta di prodotti ortofrutta diversificata in funzione della qualità: dal prodotto premium, al prodotto più basico, in base alla sensibilità e alla propensione alla spesa del consumatore», ha concluso Repezza.