01 luglio 2002

Importazione di banane «Nulla di illegittimo»

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Truffa sui dazi e frode fiscale, è il teorema della Guardia di Finanza che ha fatto scoprire alla procura di Savona e a quella di Verona un filone di inchieste complesso e, per l?entità dei personaggi finiti nel mirino, clamoroso. I fascicoli sono stati aperti dalla magistratura per verificare la regolarità delle importazioni di prodotti ortofrutticoli ? banane e aglio in modo particolare ? dall?Africa, dal Centro America e dalla Cina. Nel mirino delle Fiamme Gialle ci sono, soprattutto, i dazi doganali. Il loro sospetto è che nelle partite di compravendita tra operatori internazionali del settore e soggetti titolari dei certificati di importazione si paghi la tassa doganale meno del dovuto. Raffaello Orsero, 65 anni, presidente di un colosso europeo del settore, la GF Group, importatore di prodotti ortofrutticoli da una vita (ha siglato una convenzione con la Del
Monte dal lontano ?75) e specializzato nel commercio delle banane è uno dei nomi eccellenti ? peraltro mai fatti esplicitamente dalla Finanza o dai magistrati ? al centro dell?inchiesta. Orsero conosce il mondo dell?import-export come le stanze della sua casa. E l?idea di ritrovare da qualche tempo sulle pagine dei giornali titoli dedicati alla vicenda lo ha convinto, confortato anche dai suoi legali, i professori Sergio Maria Carbone e Francesco Munari, esperti di diritto comunitario, a rompere il silenzio sulla questione. E? la prima volta che accade e ha deciso di spiegare al Secolo XIX quali contenuti, anche giuridici, si nascondono dietro il commercio di banane.

Allora, Cavalier Orsero, ci può dire intanto qual è l?oggetto dell?inchiesta? «Le indagini in corso presso alcune procure italiane basate su accertamenti svolti dalla Guardia di finanza, hanno a fondamento la normativa comunitaria che disciplina le importazioni di banane nella Unione europea».

Che cosa viene contestato dalle Fiamme Gialle? «La legittimità di operazioni di compravendita di banane allo stato estero svolte tra operatori internazionali e soggetti titolari dei certificati di importazione, che hanno provveduto ad effettuare lo sdoganamento delle banane e le hanno successivamente vendute anche ai predetti operatori internazionali».

Dove si anniderebbe l?illegittimità? «A nostro avviso non c?è nulla di illegittimo. Teniamo presente, intanto, che queste operazioni di compravendita non solo sono tipiche nel settore della banana e anche in altri settori agricoli e ortofrutticoli, ma avvengono in tutti gli Stati Ue e sono considerate perfettamente legittime, sia a livello comunitario sia a livello nazionale. La normativa comunitaria, creando l?organizzazione comune del mercato della banana, ha attribuito infatti certificati di importazione a moltissimi soggetti, anche del tutto estranei al settore specifico e magari operanti in altri comparti dell?ortofrutta». Per inquadrare meglio il problema, Orsero fa un salto indietro nel tempo. Ricorda il tempo in cui esistevano, in ciascun Paese, dazi doganali elevatissimi per certi prodotti. Una misura che funzionava come una sorta di barriera protettiva, un deterrente per evitare che nel mercato potessero spuntare da un momento all?altro pericolosi concorrenti. Poi, però, nel 1992, la creazione del mercato unico ha stabilito la libera circolazione delle merci in tutti gli Stati e quindi è stata studiata una normativa che potesse consentire a tutti gli operatori, grandi, medi e piccoli, di poter contare su uno spicchio di mercato proporzionale alla rispettiva forza e dimensione. «Tuttavia – spiega Orsero – nella realtà del commercio della banana, questo prodotto arriva in Europa sulla base di una catena logistica che implica non solo quantitativi enormi, visto che il lotto minimo è costituito da una nave bananiera, ma anche una dettagliata programmazione delle spedizioni. Quindi, chi è titolare di certificati di importazione, se non è un grande operatore, non è in grado di organizzare la catena logistica a partire dai paesi produttori. E se vuole comprare banane per importarle nei mercati europei, è naturalmente indotto a rivolgersi ai grandi operatori. I quali, spesso perché meglio integrati anche sui mercati a valle, poi riacquistano le banane nazionalizzate per rivenderle ai clienti finali».

In sostanza, lei, che è uno dei grandi operatori del settore delle banane, dà un passaggio sulle sue navi alla merce acquistata da uno dei piccoli operatori che provvede al pagamento dei dazi doganali una volta arrivato in Italia e che poi deve giocoforza rivendere il prodotto “traghettato” affinché le banane arrivino poi al circuito dei consumatori. «No, non deve rivenderle alla società del Gruppo. Le rivende a chi vuole, anche se non è infrequente che poi si trovi un accordo commerciale anche per la vendita alle nostre società delle banane nazionalizzate. Va tuttavia sottolineato che, proprio perché coerente con le dinamiche del mercato e integrante operazioni nelle quali ciascun soggetto interessato trae un?utilità, la Commissione europea ha espressamente chiarito la piena conformità di queste operazioni
con la normativa comunitaria. E anche la dogana italiana, da tempo, si è espressa senza esitazioni nel senso della legittimità di tali prassi. Tra l?altro, esistono anche provvedimenti di giudici italiani che, in relazione a casi del tutto identici a quelli attualmente sotto esame, hanno già confermato che non esiste né contrabbando, né truffa, né evasione di dazi doganali e tanto meno altre fattispecie di reato, ancora più gravi, di cui pure alcuni giornali hanno dato notizia».

Lei ritiene dunque che le carte dell?inchiesta si basino su un presupposto sbagliato? «Guardi, nessuno dubita che la normativa comunitaria sulle banane sia complessa e sia alquanto macchinoso il funzionamento del sistema. Ma di qui ad ipotizzare che alcuni imprenditori italiani abbiano compiuto dei reati o organizzato associazioni a delinquere, ce ne passa. E? un dato peraltro che la diffusione sulla stampa di queste notizie determina gravissimi danni alle imprese e alla stessa immagine degli imprenditori. E su questo credo che anche la stampa italiana dovrebbe farsi un esame di coscienza. Anche se il rischio, alla fine, è un altro».

Quale? «Che gli operatori italiani decideranno di importare le banane con le proprie licenze in qualsiasi altro Stato Ue, in cui simili problemi neppure sono immaginabili. Con la conseguenza, tra l?altro, di sottrarre al nostro indotto importanti traffici, attività e posti di lavoro. Se poi si aggiunge che nel settore la competizione è fortissima, c?è ancora una volta da lamentare come, purtroppo, il nostro “sistema Paese” penalizza invece di aiutare le imprese italiane».

Roberto Onofrio
onofrio@ilsecoloxix.it

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