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19 luglio 2024

La cattiva alimentazione? Ci costa 300 euro l'anno a testa

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Diete e modelli nutrizionali errati costano a ogni italiano circa 300 euro in più̀ l’anno e incidono sulla probabilità̀ di insorgenza di malattie determinando un duplice rischio: in termini di impatto sulla salute e, più̀ in generale, di incremento dei costi economico-sociali.

Lo dice “Malattie, Cibo e Salute”, il rapporto della Fondazione Aletheia – primo think thank scientifico italiano – presieduta da Stefano Lucchini e diretta da Riccardo Fargione, con il coordinamento scientifico di Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà̀ di medicina e chirurgia dell’Università̀ Cattolica del Sacro Cuore.

Nonostante l’Italia presenti valori migliori per quanto riguarda il tasso d’obesità̀ (tra le principali malattie correlate agli stili nutrizionali errati basati spesso su prodotti ultra-processati, ndr), nel 2023 l’eccesso di peso ha interessato il 46,4% della popolazione di maggiore età̀ con una crescita nell’ultimo ventennio dell’7,1% delle persone in sovrappeso e del 36,4% di quelle affette da obesità. 

A questo si aggiunge anche un aumento dell’incidenza di diabete che passa dal 6,3% nel 2021 al 6,6% nel 2022 con una crescita negli ultimi 20 anni del 65%.

Il prezzo di stili nutrizionali errati

Qual è il prezzo di questo fenomeno, compresi i costi economici e sociali? Secondo quanto rilevato dal rapporto, i costi sanitari legati a queste malattie comportano oggi una contrazione annua del Pil europeo del 3,3%. 

Entrando nel dettaglio, l’incremento del sovrappeso legato a stili nutrizionali errati rappresenta il 9% della spesa sanitaria nazionale e a ogni italiano costa un’extra tassa annuale di 289 euro.

Dieta mediterranea, un patrimonio i tutti i sensi

In tal senso la dieta mediterranea, iscritta nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, ingloba ed esprime differenti valori di contrasto a questo fenomeno.

“La Dieta Mediterranea – spiega Claudio Franceschi, professore emerito di immunologia all’Università̀ di Bologna, tra gli autori della ricerca – rappresenta un elemento cardine per la salute dei cittadini poiché́ ha una serie di effetti favorevoli sulla composizione corporea, lo stato infiammatorio cronico caratteristico dell’invecchiamento (inflammaging, ndr) e anche su tutta una serie di parametri cognitivi”.

Da qui, dunque, i rischi di consumi elevati di cibi ultra-processati. Il rapporto evidenzia, infatti, come la riduzione del 20% delle calorie assunte da alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale e grassi saturi potrebbe prevenire in Italia 688mila malattie croniche entro il 2050 e fare risparmiare 278 milioni  l’anno di spesa sanitaria: circa 7 miliardi nei prossimi 25 anni.

“Assistiamo spesso a disinformazione e strumentalizzazioni che spingono verso modelli di consumo dannosi per i cittadini – osserva Riccardo Fargione, direttore di Aletheia – Non possiamo permetterlo in una Paese, come l’Italia, che vanta una cultura e un patrimonio enogastronomico di assoluta eccellenza. Ma non possiamo permetterlo neanche a livello globale, per il bene dei cittadini e dei nostri figli. Ed è per questo che con la Fondazione Aletheia ci siamo dotati di un team di medici e scienziati di altissimo profilo per provare a scardinare falsi miti e mettere ordine su un tema delicatissimo”.

La ricerca focalizza inoltre la garanzia del controllo di qualità̀ dei prodotti assunti sia in termini di composizione nutrizionale, sia sotto l’aspetto della sicurezza alimentare.

I prodotti italiani risultano infatti i più controllati dalle autorità̀ europee (oltre 11,3mila campioni analizzati), seguono quelli francesi (circa 10mila) e tedeschi (poco meno di 8.700). 

Nel confronto circa il 10,3% dei campioni di origine extra-Ue ha registrato livelli di contaminazione da fitofarmaci superiori ai limiti di legge, cinque volte superiore a quelli di origine Ue (2%).

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