18 ottobre 2023

La Germania produce più di noi (a causa del climate change)

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I cambiamenti climatici frenano la competitività della filiera agroalimentare. Fino a far retrocedere l’Italia al terzo posto in Europa nella classifica della produzione agricola. Dopo la Francia e la Germania.

I  tedeschi non hanno fatto niente di particolare, la retrocessione è frutto di siccità, caldo torrido, gelate e alluvioni. Il dato non sorprende visto che l’emergenza di maggio in Emilia-Romagna è uno degli eventi climatici estremi più forti registrati a livello internazionale. Per di più ha colpito una regione molto ricca nella produzione di frutta e verdura. Senza dimenticare i tantissimi eventi medio grandi che hanno flaggelato gran parte della nazione. Il dato si legge nell’ultimo rapporto Ismea sull’agroalimentare italiano.

Una retrocessione amara

L’Italia resta comunque tra i maggiori produttori di vino e di olio, rispettivamente dietro Francia e Spagna, e per quanto riguarda la frutta l’Italia si difende bene visto che copre il 18% della produzione della Ue, anche se resta indietro rispetto alla Spagna che tocca il 28%.  A livello di produzione totale siamo invece fermi al 14%.

Nel 2022 il valore aggiunto della filiera agroalimentare ha raggiunto  64 miliardi di euro: 37,4 miliardi dal settore agricolo e 26,7 dall’industria alimentare.

Il triennio della tempesta perfetta

Ci sono indubbiamente i  cambiamenti climatici a grippare la macchina, ma non solo. Nel documento Ismea  c’è  un passaggio che dice tutto. “Il triennio della tempesta perfetta”  è il titolo molto indicativo del paragrafo.  “Dal 2020 al 2022 gli effetti di una serie eventi del tutto inattesi si sono combinati in modo esplosivo in una sorta di tempesta perfetta: la pandemia da Covid-19 e il lockdown; il susseguirsi di eventi metereologici estremi; la crescita dei prezzi dei prodotti energetici e di materie prime dovuta a strozzature dal lato dell’offerta; l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con l’ulteriore impennata dei prezzi del gas e l’impatto sui mercati delle materie prime e sulle catene globali del valore”. Senza dimenticare l’inflazione che ha poi comportato la stretta sul credito.

L’inflazione da profitti

C’è chi vince e c’è chi perde in questa permacrisi che ha innestato il problema attualissimo della dinamica inflattiva. Lo sottolineano i ricercatori Ismea: “L’inflazione non è mai neutrale e anche in questo caso ha generato effetti asimmetrici: l’asimmetria si è manifestata, oltre che tra settori, anche tra imprese, con effetti differenziati sui margini di profitto a danno delle piccole e medie imprese rispetto alle più grandi; queste ultime, infatti, grazie al loro maggiore potere di mercato sono in grado di trasferire gli aumenti dei costi sui prezzi di vendita e di rinegoziare i contratti di fornitura. In questo senso, alcune imprese hanno potuto trarre vantaggio dalla dinamica dei prezzi, contribuendo ad alimentare una componente di inflazione da profitti”.

Oltre il clima: poca formazione e pochi giovani

Non c’è dubbio che i cambiamenti climatici incidano sull’economia agricola, nonostante i tanti negazionisti che si esprimono sul tema, ma il settore agroalimentare sconta anche altre criticità ben conosciute dagli addetti ai lavori. “Oltre agli effetti del clima, pesano sull’agricoltura italiana alcune debolezze strutturali, quali la scarsa presenza di giovani capi azienda (solo il 9%, contro il 12% della media Ue) e il correlato basso livello di formazione di chi guida la maggioranza delle aziende agricole. Tra il 2010 e il 2020, la superficie agricola utilizzata (Sau) si è ridotta in misura inferiore rispetto al numero di imprese, nel quadro di un lento processo di concentrazione e riorganizzazione in atto nel settore; la Sau per azienda è passata da 7,9 a 10,7 ettari tra il 2010 e il 2020, con un incremento maggiore di quello dei principali partner europei, ma resta ancora molto inferiore alla media Ue”. Numeri che vengono letti anche in positivo.

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