A nord della Norvegia, in un paesino sperduto di poche anime è possibile trovare ogni settimana il mango. Un esempio di come il supporto della tecnologia lungo tutta la filiera del mondo ortofrutticolo possa consentire ad un frutto esotico di arrivare anche in posti impensabili, con una certa continuità e maturo al punto giusto, sugli scaffali della distribuzione moderna. È iniziato con questo aneddoto, raccontato da Chris White, managing director di Fruitnet, la tavola rotonda dal titolo “La tecnologia fa buoni frutti”, che si è tenuta venerdì 16 ottobre presso il Padiglione del Biologico e della Biodiversità di Expo, organizzato dal Cermac, il consorzio di produttori italiani di macchine, accessori e attrezzature per l’agricoltura, la zootecnia e l’agroindustria.
Il giornalista inglese ha moderato le presentazioni e il dibattito tra alcuni esponenti di primo piano delle tecnologie in ambito ortofrutticolo presenti in Italia: da Angelo Benedetti, presidente di Unitec a Luca Buglia, export manager di Fruit Control Equipments. E ancora Roberto Graziani, direttore generale di Graziani Packaging e Giuseppe Montaguti, amministratore delegato di Infia.
Tecnologia per la calibrazione e selezione dei frutti, per la conservazione senza l’ausilio della chimica nel post raccolta e per il packaging ad ogni suo livello. Tutte leve fondamentali per consentire ai prodotti ortofrutticoli di poter arrivare sui banchi della distribuzione, sia italiana che estera, al meglio delle sue possibilità. O almeno, così dovrebbe. Perché in realtà benché molto sia stato fatto, rimangono ancora molti punti da sviluppare all’interno della produzione italiana per riuscire a sfruttare nel modo migliore tutto ciò che oggi la tecnologia mette a disposizione.
Sia Paolo Bruni, direttore del Cso, che il professor Guglielmo Costa, ordinario di Arboricoltura generale presso il dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna, nelle loro introduzioni iniziali hanno sottolineato il ruolo fondamentale che questo specifico settore riveste per l’internazionalizzazione dell’ortofrutta da una parte, nonché per la ricerca dall’altra.
Eppure la produzione potrebbe fare ancora di più, cominciando a considerare l’investimento in tecnologia, a tutti i suoi livelli, come un valore aggiunto e non come un elemento in più e da subire passivamente.
È di questa idea, da sempre, per esempio Angelo Benedetti di Unitec che nella sua presentazione ha sottolineato come sia necessario un vero e proprio cambio di prospettiva e punto vista da parte dei produttori italiani, puntanto non più sulla quantità e il numero di ettari coltivati, quanto sulla differenziazione della qualità esistente a seconda dei mercati e dei consumatori di riferimento. Sulla stessa linea che Roberto Graziani, secondo il quale la personalizzazione del packaging, per esempio, consente di fidelizzare maggiormente i consumatori. E sempre a proposito di packaging, Giuseppe Montaguti ha sottolineato come la possibilità di brandizzare le confezioni finali che arrivano al consumatore finale anche nel settore ortofrutticolo consenta di valorizzare l’infinita varietà presente nel nostro Paese. Su fronte della sostenibilità, infine, Luca Buglia ha illustrato la possibilità di conservare senza l’utilizzo della chimica l’ortofrutta in post-raccolta attraverso l’utilizzo dell’atmosfera modificata, con un’incidenza di alcune fisiopatie identica a quella con l’utilizzo di prodotti chimici. Manca, però, forse un simbolo o un segno distintivo, da apporre sulle confezioni di ortofrutta, che indichi l’uso di tecnologie a basso impatto.