Apro un ponte a Luca: perché non uniamo le forze su un progetto come la Cina?”
A tendere la mano per una possibile, futura, collaborazione è Alberto Garbuglia, consigliere delegato di Origine Group che si è rivolto così a Luca Granata, direttore generale di Opera. Teatro della proposta la seconda giornata del World Pear Forum che si è svolto a Ferrara all’interno della seconda edizione di Futurpera, il Salone Internazionale della Pera.
La Cina, per ora, non è un paese nel quale è possibile esportare pere dall’Italia, ma, come ha spiegato poco prima Simona Rubbi del CSO Italy, il delicato e lungo processo che porta all’apertura delle frontiere sebbene non sia certo in dirittura di arrivo, ha quanto meno già fatto passi in avanti, con un’accelerazione anche maggiore rispetto a quanto ci si potesse aspettare, tanto da poter ipotizzare lo sblocco tra un’anno e mezzo o due al massimo.
A quel punto andarci da soli e non fare squadra potrebbe rivelarsi una mossa perdente, per un prodotto che già in questo momento fatica a farsi strada su mercati esteri ben più vicini e meno difficili da approcciare. Un aspetto che, d'altronde, proprio all'interno del convegno che aveva il titolo di “Mercato e Consumi: i nuovi trend e le sfide future” (vedi qui), due esponenti di due paesi che hanno iniziato ad esportare in Cina hanno evidenziato. Secondo Leonard Kampschöer dell’olandese Fruitimasters e Filip Lowette della belga BFV l'avere nei rispettivi paesi un livello di aggregazione dell’offerta delle pere molto elevato, non è un aspetto certo secondario.
La risposta di Granata? Non è arrivata dal palco, né, d'altronde, nessuno gliel'ha chiesta A margine del forum, il manager di Opera ci ha fatto capire che è ancora presto per parlarne, considerando la lunga strada ancora da percorre prima dell’apertura delle frontiere cinesi, ma non ha certo chiuso le porte.
Il tema dell’aggregazione dell’offerta è, in generale nel mondo ortofrutticolo italiano, particolarmente evocato ogni volta che si parla di export, ma non manca ovviamente di fare capolino anche a convegni e tavole rotonde dove si dibatte di consumi domestici. Nel caso della pericoltura è poi particolarmente sentito tanto che due anni fa, quando nacquero i due poli aggregativi italiani, per l’appunto Opera e Origine, tra i motivi che non consentirono la nascita di un unico polo vi furono anche divergenze sul fronte del tipo di aggregazione da adottare.
Alla base, quindi, visioni di governance differenti ma anche di approccio al mercato. Aspetto, quest’ultimo, che è emerso anche questa volta durante il confronto tra i due poli a Ferrara e che era andato in scena per la prima volta proprio sullo stesso palco due anni fa (vedi qui e qui), proprio alla prima edizione di Futurpera.
Se Luca Granata ha evidenziato i grandi sforzi e le nuove idee messe sul campo da Opera, ad esempio sul fronte della comunicazione al consumatore finale e dell’innovazione in fatto di packaging, Alberto Garbuglia ha invece spostato il discorso sul fronte organizzativo interno della filiera e dell’innovazione varietale.
Per il primo la strada da percorrere sul mercato italiano è chiara.
“Stiamo cercando di lavorare perché la pera sia più conosciuta e apprezzata. È l’unico dessert che è anche un frutto, ma lo sappiamo in pochi. Dobbiamo investire di più nello spiegare che vantaggio potrebbero avere i consumatori nello scegliere una pera. Io sono convinto che i consumi continueranno ad aumentare prossimamente in Italia”.
Soddisfazione sensoriale, sostenibilità ambientale, comodità di consumo e acquisto attraverso una nuova concezione del packaging sono le aree che Opera sta percorrendo.
Per Garbuglia e Origine, invece, le priorità sono soprattutto altre.
La partita si gioca anche sui consumi, però non è sempre sufficiente. Noi siamo di fronte ad una filiera che per star bene deve partire già dalla pianta”.
Il valore per la filiera va recuperato, ad esempio, studiando varietà nuove, ideali per il mercato italiano quanto per quello estero. “E da soli si fa fatica ad afforntare questo discorso, ecco perché ci siamo messi assieme”. Ma interventi strutturali, secondo Garbuglia, vanno fatti anche quando si parla di calibro: “Le Abate Fetel, quando c’è una produzione superiore del 15%, hanno una sovrapproduzione nel calibro 65/70. La liquidazione in questo caso è fortemente influenzata dal prezzo, che viene depresso perché è un calibro che si fa fatica a vendere. Bisogna fare interventi strutturali sui mercati che ricevono questo calibro. Si può decidere che quando questo calibro è in eccedenza andiamo insieme in determinati paesi sostenendo l’export. Questo si può fare se ci coordiniamo e se ci sono delle aziende disposte a fare un passo indietro singolarmente per farne uno insieme”.
Insomma, sebbene le differenze di approccio restino e siano evidenti, e nessuno d’altronde lo nasconde, sul fronte dell’export c’è un’apertura e una proposta di aggregazione. Non resta che aspettare che si aprano veramente le frontiere cinesi. O magari, chissà, quelle di altri paesi ricettivi ma non complicati come quest'ultimo.