Tra crisi energetica e autosufficienza alimentare, la cronaca quotidiana ha portato sotto i riflettori l’agricoltura.
L’indagine “L’agricoltura italiana come bene comune”, condotta dall’Istituto Eurispes in collaborazione con Confagricoltura, si è posta due obiettivi: esplorare il significato contemporaneo del concetto di bene comune, in generale e nello specifico dell’associazione all’agricoltura, e misurare la percezione dell’agricoltura come bene comune nelle dimensioni principali.
Dall’analisi emerge come l’agricoltura sia già un’idea comune e collettiva, portabandiera di una certa idea di vivere civile ma, al tempo stesso, con alcunediscrepanze: il suo fondarsi su un bene privato, la terra; la difficoltà di sciogliere positivamente il mantra contemporaneo dell’innovazione tecnologica; la poliedricità delle sue manifestazioni, difficilmente riconducibili a un quadro unitario; la sua natura bifronte di custode, rivolta al passato, e di generatrice, protesa al futuro.
Tra idea romantica di campagna, idealizzazioni e (poca) tecnologia
I risultati dello studio, condotto attraverso una serie di interviste a esperti e attori del settore, evidenziano alcune importanti indicazioni: è solida un’idea romantica della campagna, ispirata dai canoni iconografici delle pubblicità ed emerge un vissuto totalmente idealizzato: da un lato, un solido percepito di positività umanistiche; dall’altro lato, la consapevolezza che il benessere materiale sia il prezzo da pagare laddove ci si dedichi all’agricoltura.
Ma è forte anche la sensibilità al tema del preservare l’ecosistema naturale. L’agricoltura poi è centrale nella formula economica nazionale, sia nel contributo diretto alla vita dei cittadini, sia nelle forme indirette di asset paesaggistico, dove però il tema della privatizzazione della terra e della presenza delle multinazionali è presente in una costante controluce problematica.
Fatica invece ad affermarsi l’idea di un’agricoltura aderente ai mantra tecnologici della contemporaneità: emerge l’idea di un’attività ancorata ai metodi tradizionali vista in chiave unicamente positiva. Il luogo in cui si vive sembra influenzare l’atteggiamento verso la direzione dell’investimento in agricoltura: i cittadini puntano su temi di sostenibilità, in campagna si guarda alla produttività e all’innovazione.
Agricoltura bene comune, l’indagine qualitativa
All’interno del lavoro di ricerca sono state condotte dieci interviste a testimoni privilegiati del settore. Gli interlocutori sono stati selezionati sulla base della loro competenza. Le opinioni riportate disegnano un’agricoltura che appartiene certamente al perimetro del vivere collettivo, ma al contempo è sottratta alla piena potestà collettiva in quanto attività economica basata sulla proprietà privata.
Tra i temi individuati: la trasformazione intellettuale del sentire collettivo che l’ha interessata negli ultimi decenni; la consapevolezza che si tratti di un asset economico nazionale, fatto di potenzialità di natura collettiva oltre che privata; la sua intrinseca fragilità, sintesi delle preoccupazioni legate alla sostenibilità ambientale.
Agricoltura forza rigeneratrice
L’idea condivisa è che l’anima comune dell’agricoltura poggi sulla sua capacità di essere una forza costantemente (ri)generatrice: di vita (consente di soddisfare il bisogno primario di rimanere vivi, sia dal punto di vista funzionale sia relazionale), di identità (è un ambito produttivo custode di valori, tradizioni, conoscenze e saperi), di paesaggi (è l’unica attività produttiva che gestisce, cura e salvaguarda le risorse naturali, contribuendo a definire il paesaggio), di benessere economico (inteso come tutela delle aziende agricole locali e delle eccellenze del territorio).
Un’idea, molti distinguo
Se per il consumatore l’idea di agricoltura come bene comune si lega al diritto di avere cibo sano e nutriente a un prezzo accessibile, per l’agricoltore è una fonte di reddito. Tutti gli intervistati reputano che l’agricoltura possa essere considerata un bene comune nella sua accezione di paesaggio, cultura e identità in primis, ma fanno dei distinguo se si parla di agricoltura come bene materiale, per esempio il raccolto, che rimane privato.
L’agricoltura italiana vive di campanilismi, mentre le responsabilità, intese come esternalità negative, per ora rimangono non condivise. Il contesto che abbiamo vissuto negli ultimi anni – pandemia e guerra – ha evidenziato l’importanza dell’agricoltura anche in termini di approvvigionamento delle risorse primarie, ponendo questo tema nell’agenda dei cittadini come prioritario. Ma, per fare percepire l’agricoltura come bene comune, bisogna ragionare nel lungo periodo: bisogna cambiare l’immaginario collettivo.
Tracce di romanticismo
L’immaginario è costruito dalla narrazione che la pubblicità fa dell’agricoltura e della campagna: sempre meno persone hanno infatti un contatto diretto. Per chi vive in città, la campagna è un posto dove si sta meglio e dove è possibile passare del leisure time anche lavorando, per esempio, raccogliendo le olive o vendemmiando. Decidere di viverci è però un discorso diverso: nell’immaginario collettivo, infatti, sembra permanere comunque, secondo gli intervistati, il concetto di campagna come arretratezza. Solo alcuni territori, come la Toscana, si sono slegati da questa visione grazie ad un buon marketing territoriale.
In termini di comunicazione, sembra mancare completamente la narrazione dell’innovatività del settore agricolo. Bisognerebbe invece rovesciare frasi come “i prodotti di una volta erano più buoni” con frasi come “oggi c’è più attenzione al processo e alla sicurezza alimentare”.
Sostenibilità ed educazione della collettività
Il crescente interesse verso la sostenibilità può aiutare il percorso di consapevolezza del binomio agricoltura e bene comune presso la collettività. La strada giusta è quella che fornisce agli agricoltori strumenti e fondi per impattare meno: a questo devono servire la ricerca e i finanziamenti.
Non è invece corretto, per gli intervistati, caricare sull’agricoltore il costo del suo impatto ambientale. Stando alle opinioni emerse dall’indagine, infine, per avvicinare la comunità all’agricoltura come bene comune bisogna educare la collettività, a partire dagli studenti delle scuole fino agli studenti universitari. Bisogna fare tornare quotidiana l’agricoltura ed è importante che ci sia solidarietà di intenti e di linguaggi tra vari attori.
La comunicazione deve avvenire in un processo preferibilmente bottom-up e nella maniera meno mediata possibile. Tra i messaggi da comunicare: le best practice, la diversità come bene da tutelare grazie all’agricoltura, l’innovazione, la sostenibilità.
Fonte: L’Eurispes.it