Da una parte la domanda c’è, ed è cresciuta anche durante il lockdown, dall’altra parte l’offerta sembra avere qualche difficoltà a tenere il passo, lasciando persino spazio all’importazione. La fotografia dello stato dell’arte del biologico italiano alla luce di alcuni dei dati emersi durante il primo dei webinar promossi da B/Open, la nuova fiera del biologico che si terrà a Veronafiera il prossimo 23 e 24 novembre, ha due facce, che sollevano qualche riflessione e probabilmente anche alcune preoccupazioni.
Il bio cavalca la pandemia: +11% durante l’emergenza Covid
Il consumatore italiano continua a chiedere e cercare prodotti biologici: questo è un dato di fatto certamente più che confortante per il settore, che anche in questa prima, particolarissima, finestra del 2020, nonostante il terremoto portato dal Covid-19 e dal conseguente lockdown, non è cambiato rispetto agli ultimi anni, ma è addirittura aumentato. Un elemento che, peraltro, dimostra come il biologico riesca a cavalcare i periodi turbolenti o di crisi meglio di altri comparti dell’agroalimentare: era già successo durante la grande crisi finanziaria del 2008-14, sembra riuscire a farlo anche adesso, quanto meno in questa prima fase.
Da marzo a maggio i dati elaborati da Ismea su fonte Nielsen certificano una crescita delle vendite bio dell’11% che – nel periodo più duro del lockdown, quello che per intenderci circoscriviamo fino a Pasqua – ha registrato un’impennata addirittura fino al 20% in più rispetto al 2019. Insomma, come ha sottolineato Andrea Bertoldi, vicepresidente di FederBio, non ci si può certo lamentare di lavorare in questo settore. Naturalmente, scendendo nel dettaglio delle singole regioni, il dato cambia anche in modo sostanziale, con il Nord che traina il comparto, ma non è una novità.
E il biologico, secondo un’indagine effettuata da Coop su oltre 800 operatori di settore, dovrebbe continuare a essere in cima ai pensieri dei consumatori, considerando che si piazza poco sotto la richiesta di prodotti al 100% italiani, a Km zero e tradizionali. Segno evidente che la richiesta di sicurezza alimentare – elemento che il bio è riuscito a intercettare in pieno durante l’emergenza sanitaria – continuerà a essere un elemento importante anche in futuro.
Rallenta la crescita di operatori e superfici
Osservando, invece, i dati che riguardano chi il bio lo produce e distribuisce, qualche dubbio, o quanto meno riflessione, sorge. Nel 2019, secondo le stime e le proiezioni di Assocertbio, l’associazione nazionale che raggruppa nove organismi di certificazione e ben il 95% del totale degli operatori del biologico italiani, il numero di operatori certificati dovrebbe crescere dell’1,5%. Quindi, in sostanza, come ha affermato lo stesso presidente Riccardo Cozzo, indicherebbe un rallentamento. Nei primi cinque mesi del 2020 il dato è sostanzialmente stabile (+0,15%) e le proiezioni a fine anno, sempre di AssocertBio, parlano di una crescita solo leggera, intorno all’1%. Anche osservando stime e proiezioni delle superfici il quadro non sembra cambiare: nei primi mesi del 2020 la crescita è di mezzo punto rispetto al 2019 che, se il dato mostrato sarà confermato, certificherebbe comunque un calo rispetto ai dati del 2018 presentati dal Sinab all’ultima edizione del Sana.
Ma, al netto di eventuali ritardi delle notifiche durante il periodo della quarantena, quali sono i motivi di questo raffreddamento delle certificazioni bio da parte degli operatori? È stato uno dei temi intorno al quale si sono espressi molti dei partecipanti del webinar (a questo link la registrazione completa): c’è chi ha denunciato una sostanziale messa in disparte del settore da parte della politica (basti pensare alla legge sul biologico che ormai da tempo giace nel cassetto del Senato dopo essere stata approvata alla Camera) e chi ha evidenziato l’attuale grande peso burocratico che disincentiva il passaggio al bio da parte di molti operatori.
Insomma, il rischio bolla c’è: Francesco Giardina, ex Sinab ora in forza a Coldiretti, commentando l’approfondimento dedicato alla filiera olivicola illustrato nella prima parte dell’incontro, ha sottolineato come – a fronte di una superficie bio del 23% dedicata a questa coltura – solo poco più del 9% dell’olio in vendita riporti poi la certificazione. E intanto le importazioni aumentano. Insomma, forse un campanello d'allarme c’è e non bisogna fare finta di non sentirlo.