15 giugno 2014

Limone di Siracusa Igp. L’importanza dell’innovazione

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Puntare sull’innovazione, incrementare la ricerca e il rapporto con la produzione, andare oltre la storica frammentazione dell’offerta. Sono alcuni degli aspetti affrontati dal convegno dal titolo “Come si coltiva il limone?”, che si è svolto a Siracusa nelle sale di palazzo Vermexio giovedì 12 giugno. Siamo nella patria di una delle produzioni più tipiche (la certificazione Igp è del 2011) e importanti della limonicoltura italiana: su una fascia costiera di circa 10 km quadrati – l’area di produzione che comprende i comuni di Siracusa, Noto, Avola, Floridia, Solarino, Priolo Gargallo, Augusta, Sortino, Rosolini e Melilli – operano circa mille coltivatori su una superficie di 5.300 ettari. Una produzione pari al 34% del raccolto italiano totale che certifica quest’area come la capitale del limone italiano.

Eppure le premesse dalle quali è partito il convegno non sono tra le più confortanti. Il mercato del limone in Italia segna un passivo nella bilancia commerciale di 60 mila tonnellate: a fronte delle 40 mila esportate, infatti, si registrano le 100 mila importate dai mercati esteri. Il presidente del Consorzio del Limone di Siracusa Igp, Fabio Moschella, ha comunque sottolineato alcuni segnali positivi, come la ripresa dell’export, soprattutto del biologico nonché il recente provvedimento della Camera dei Deputati circa la presenza di almeno il 20% di succo di frutta nelle bibite analcoliche. «Purtroppo si tratta di una norma valida al momento solo in Italia, mentre dovrebbe essere una direzione da percorrere insieme a tutti gli altri Paesi europei. Tuttavia, sebbene parziale, è un segnale incoraggiante; come lo è la richiesta sempre più alta di prodotto IGP per l’industria di trasformazione, per cui abbiamo chiesto la modifica del disciplinare».

Dal mondo professionale e accademico, invece, è arrivato un invito a investire in ricerca su limone. «La moderna limonicoltura può realizzare delle scelte opportune cambiando l’abbinamento tra varietà e portinnesti per migliorare sia la qualità dei prodotti che il calendario di produzione e commercializzazione» ha affermato Alberto Continella, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari dell’Università degli Studi di Catania. «Alcuni portinnesti nuovi sono in grado di conferire, oltre ad una maggiore produttività, anche una maggiore precocità dei frutti; ciò consente un aumento dei prezzi ed un maggiore riconoscimento economico per i produttori. È inoltre fondamentale diventare competitivi anche sconfiggendo l’atavica frammentazione dell’offerta». Secondo Vittorio Lo Giudice, agronomo, invece, è sì importante esplorare nuove cultivar, ma non è prioritario «se non si rinnovano anche i metodi di coltivazione; fino a oggi questi sono stati basati solo sull'esperienza, oggi è necessario introdurre una strumentazione tecnologica efficace e dei metodi scientifici».

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