30 gennaio 2021

Logistica e ortofrutta: la grande occasione

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Il traffico delle merci è al centro di due grandi temi del momento, pandemia e Brexit. E in entrambi casi, per dirla con una parola ultimamente abusata, ha dimostrato resilienza, reagendo con granitico impegno a eventi dirompenti o, nel caso dell’emergenza sanitaria, inaspettati. La domanda ora è: da queste esperienze si possono trarre benefici che ricadano in maniera positiva sull'intera filiera dell’ortofrutta?

Le merci non si fermano

Sembrerebbe di sì, ma per analizzare la questione è meglio partire dai numeri. Nei primi sei mesi del 2020 i volumi del traffico merci hanno tenuto più di quanto ci si potesse aspettare: si stima una diminuzione del traffico stradale, rispetto allo stesso periodo del 2019, non superiore al 20% (-20,8% su rete autostradale e -16,8% su rete Anas), le movimentazioni portuali hanno perso solo il 13,6%, il traffico ferroviario il 12,3%. Perdite accettabili e sostenibili, se si pensa al contesto. 

E sono quasi nulli anche gli effetti che la Brexit sta producendo sullo scambio merci con il Regno Unito: è vero che non si può prescindere dall’aumento di costi – circa 200 euro per bilico – e dall’incremento della burocrazia – basti pensare alle procedure fitosanitarie per i prodotti ortofrutticoli – voluti dall’accordo di recesso tra Uk e Ue del 24 dicembre scorso, ma è altrettanto vero che non si registrano (o quasi) ritardi, errori, ingorghi. La merce italiana parte e arriva senza alcuna difficoltà evidente e, infatti, gli spedizionieri non riferiscono di clienti del settore ortofrutta che avrebbero deciso di ridimensionare il proprio business negli scambi italo-inglesi.

Passi concreti verso l'intermodalità e la digitalizzazione

In sintesi, il sistema funziona. Ecco perché ragionare sull’opportunità di una filiera all’insegna dello sviluppo e dell’innovazione: l’emergenza sanitaria ha avvicinato alcuni operatori all'intermodalità, sebbene il trasporto ferroviario merci, in Italia, rappresenti una quota ancora troppo bassa in termini di volumi complessivi. Ma ci sono esempi virtuosi – vedi il lavoro dell’interporto di Trieste e non solo – e da questi si potrebbe partire. E poi c’è il tema sempreverde dello snellimento burocratico. La Brexit, perlomeno in prima battuta, sembra portare nella direzione opposta, ma non è del tutto vero: a poche ore dall’entrata in vigore dell’accordo Uk-Ue, l’Agenzia italiana delle dogane e dei monopoli ha dato vita alla cosiddetta dogana a chilometro zero, tesa ad armonizzare e snellire le procedure. Tradotto, significa che si possono adempiere le formalità doganali nell’ufficio più vicino o addirittura nei propri stabilimenti produttivi. E questo grazie alla digitalizzazione. A proposito di quest’ultima, la pandemia ha portato alla luce un livello di maturità tecnologica lungo tutta la supply chain per alcuni versi inatteso. Sul tavolo c’è un’occasione che non dovrebbe essere persa: una filiera ad alto tasso di innovazione, di efficienza, di sostenibilità. Ma dobbiamo crederci tutti.

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