Nel primo caso, dal 2021 a oggi, due operazioni antimafia denominate rispettivamente Follow the Money e Black Blend hanno portato al sequestro di beni per 98 milioni. A essere finiti nei guai sono padre e figlio, entrambi imprenditori nel settore della logistica e dei trasporti. Il Tribunale di competenza ritiene entrambi socialmente pericolosi e contigui al clan mafioso Scalisi di Adrano (Catania). Come scrivono gli inquirenti, “avrebbero sistematicamente favorito il clan Scalisi fornendo, mediante l’alimentazione della cassa e il mantenimento del gruppo e dei suoi sodali, un contributo, stabile e protratto nel tempo, alla realizzazione delle finalità dell’organizzazione mafiosa, al consolidamento del potere economico e all’occultamento e all’incremento del patrimonio del sodalizio, in cambio del quale avrebbero ricevuto protezione e agevolazione nell’espansione delle proprie attività imprenditoriali”.
I due indagati sono anche accusati di frode fiscale nel commercio di carburanti. Avrebbero infatti importato il prodotto da Austria, Germania, Repubblica Ceca, Romania e Slovenia, per poi venderlo ad autotrasportatori e a distributori stradali siciliani, con un’evasione d’Iva e accise di alcuni milioni.
Tra i beni sequestrati ci sono anche imprese operanti nel trasporto, nella logistica e nel commercio di carburanti.
Arresti domiciliari per un imprenditore di Cesena
A Cesena, invece, la frode è legata all’evasione di imposte. Qui un imprenditore originario della provincia di Viterbo, ma attivo in quella di Forlì-Cesena, è agli arresti domiciliari per un giro di fatture false emesse da imprese di autotrasporto e di servizi che ammontano a 33 milioni. Numerosi i capi d’accusa: si va dall’associazione per delinquere, all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, passando per la dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false e, in concorso con gli amministratori delle società fallite, eventi connessi alla bancarotta fraudolenta.
Per l’imprenditore in questione non si tratta della prima volta: ha già subito una condanna di primo grado a quattro anni con l’accusa di avere nascosto al fisco 52 milioni di euro tra il 2009 e il 2016, usando sempre fatture per operazioni inesistenti.