Logistica e Trasporti

01 ottobre 2024

Logistica: si fermano i porti della East Cost, le ricadute

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Per alcuni si tratta di un vero e proprio tsunami sulla logistica globale, per altri la situazione non è tragica, ma di sicuro da tenere sotto stretta osservazione.

La logistica mondiale è in fermento. Lo sciopero che da oggi primo ottobre (è partito a mezzanotte ora locale, ndr) interessa i porti della costa orientale degli Stati Uniti e della zona del Golfo del Messico non sta passando inosservato. 

Anche perché non ha una scadenza: i portuali che hanno fermato il lavoro lo faranno a tempo indeterminato.

“Lotteremo fino a quando sarà necessario per ottenere i salari e le tutele sociali che i nostri iscritti meritano", ha dichiarato Harold Daggett, alla guida del sindacato International longshoremen’s association (Ila) che rappresenta 85mila portuali.

“Dopo l’Ucraina, la crisi di Suez e del Medio Oriente, quella di Panama, ora arriva anche lo shut down dei docker della east coast a togliere il sonno agli operatori”, ha riassunto Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto.

Chi sciopera e perché

A proclamare il fermo è stato dunque il sindacato dei lavoratori portuali Ila che da tempo è protagonista di un acceso dibattito con l’associazione dei terminalisti portuali Usmx (United states maritime alliance) per il rinnovo del contratto nazionale.

L’astensione dal lavoro coinvolge circa 45mila addetti. I quali, in una situazione di normalità, contribuiscono a  movimentare circa il 40-50% dei volumi in entrata e in uscita di tutti i porti statunitensi.

Le ricadute

A preoccupare sono soprattutto le ricadute su tutta la logistica mondiale. “Esportatori e spedizionieri guardano con estrema preoccupazione alla situazione - ha argomentato Botta - Gli Usa sono il primo partner commerciale dell’Italia fuori dall’Europa. Con lo sciopero, ogni settimana, si stima che a livello mondiale saranno circa 500mila i contenitori che non potranno sbarcare o raggiungere le destinazioni finali”.

Si tratta quindi di un danno di una certa rilevanza: tra le ricadute ci si aspetta anche un maggiore costo dei noli già nelle prossime settimane.

In più ci sono le perdite in termini di business: secondo i dati presentati al Fiata congress di Panama, le perdite di volume in un mese, potrebbero raggiungere i due milioni di contenitori. Per JP Morgan, una delle maggiori banche sia negli Stati Uniti, sia a livello globale, le perdite sono stimabili tra i 3,8 e i 4,5 miliardi di dollari.

Genova soffre

Secondo le previsioni non mancheranno le ripercussioni sui porti del Mediterraneo: le stime dicono che ogni settimana di fermo metterà a rischio circa 71mila container in ambo le direzioni.

In Europa a soffrire più di tutti sarà il Porto di Genova: secondo gli ultimi dati messi a disposizione dall’Autorità di sistema portuale (risalgono al 2022) sono infatti 336mila i container movimentati tra imbarco e sbarco.

Le soluzioni

Come sempre, quindi, la merce non dovrà fare altro che trovare la strada alternativa più conveniente o meno dannosa. 

Secondo Botta, sono due le soluzioni: "L'alternativa più gettonata per saltare i porti in sciopero, per ora, è l'utilizzo degli scali della West Coast (o del Canada) - spiega - Ma gli operatori stanno puntando anche sul cargo aereo e su una più accurata gestione delle scorte per evitare interruzioni nella catena di approvvigionamento".

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