Lui è Steve Lutz, della società CMI (Columbia Marketing International): si occupa di marketing e vendita di pere, mele e ciliegie nel mercato a stelle e strisce. Un intervento molto interessante, quindi, quello tenuto durante la prima giornata del congresso di Interpoma a Bolzano, anche alla luce degli accordi degli ultimi anni che consentono anche ai produttori italiani di poter cominciare a esportare mele al di là dell’Atlantico.
«Ci sono stati molti cambiamenti nel mercato statunitense negli ultimi 25 anni. Il numero di produttori è diminuito e c’è un calo continuo dei consumi generale – « il consumo pro capite di mele negli Usa negli ultimi 30 anni è diminuito, siamo ai minimi come nel 1980 e questo è un problema considerando la disponibilità dell’offerta» -, delle varietà storiche come Granny e Golden, mentre altre, come la Honeycrisp, la fanno da padrone come fatturato». I dati mostrati da Steve Lutz parlano chiaro circa le varietà più amate negli Usa: se da una parte calano varietà come Red Delicious (-40%) e Golden Delicious (-30%), aumentano quelle di Gala (+153%), Honeycrisp (+88%), Pink Lady (+42%) e Ambrosia (+102%).
Quali i fattori chiave per avere successo? Secondo Lutz due sono i più importanti: l’aspetto estetico: «mi capita spesso di trattare con catene della grande distribuzione che guardano molto al colore. Vogliono, per esempio, mele completamente rosse. Quindi la superiorità varietale da questo punto di vista è fondamentale. Di Red Delicious ne venderemo sempre meno se non diventeranno al 100% rosse». Poi il brand. «Bisogna possedere marchi di mele Club per fidelizzare il cliente. Ambrosia, ma anche Kiku, per esempio, hanno soppiantato vecchie varietà per quanto riguarda l’importazione».
Due elementi che si intersecano anche con alcune dinamiche della grande distribuzione americana. «Le mele sono una categoria merceologica difficile da gestire per i produttori, ma anche per la grande distribuzione. Ci sono catene che in media tengono 25 varietà diverse alla volta e, se consideriamo le diverse confezioni, arriviamo anche a 200 referenze differenti in vendita». Bisogna farsi spazio, dunque, all’interno di una selva di concorrenti e con una molteplicità di attori della Gdo sia nazionale che locale molto agguerrita. «In Usa i 30 maggiori retailer detengono il 60% del food market. Lavorare con alcuni big, come Walmart per esempio, ma non solo, è fondamentale».
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