01 dicembre 2020

Mirtilli, consumi: in Italia si può fare (molto) di più

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Il mercato dei mirtilli sta faticando a prendere le misure di una serie di cambiamenti che ne stanno cambiando la struttura, in particolare l’impatto del Covid-19 sul lato acquisti e il grande dinamismo dei calendari e delle zone di produzione sul fronte degli approvvigionamenti.

Negli Stati Uniti dall'erompere della pandemia i consumi dei berries (fragole e piccoli frutti) sono cresciuti ogni mese con tasso di crescita su base annua dal 6,6% al 17,8%, con incrementi a due cifre in sette degli ultimi nove mesi (fonte: IRi – 210 analytics). Incrementi che sono stati trasversali alle provenienze, perché hanno interessato periodi in cui dominava il prodotto di provenienza nazionale e mesi in cui era disponibile solo merce di importazione dall'emisfero sud, senza differenze sostanziali. 

Il mercato statunitense è alimentato da una crescente produzione nazionale (+30% fino a superare le 150mila tonnellate) e da flussi importanti dai paesi del Sud America, con Messico (+25%) e Perù (+40%) che stanno incrementando la produzione di mirtilli a ritmi che non hanno eguali nel settore ortofrutticolo.

Europa: il Covid-19 non frena la crescita dei berries

Anche in Europa la crescita negli ultimi anni della categoria dei berries è regolare e sembra aver retto l’impatto del Covid-19.
Nel Regno Unito in termini di fatturato mirtilli, lamponi e more hanno generato vendite totali per oltre 900 milioni di euro. Il confronto con alcune realtà della Gdo italiana può aiutare a comprendere l’entità di queste cifre, che corrispondono al 9% dell’intero fatturato 2019 di Esselunga; oppure al 19% del fatturato realizzato nel 2018 da Lidl Italia. I mirtilli nel Regno Unito valgono al dettaglio quasi 500 milioni di euro, che equivale a circa il 50% del fatturato italiano del gruppo Il Gigante. Nelle 52 settimane concluse il 19 aprile sono stati vendute 45.800 tonnellate di mirtilli (727 grammi pro capite), in aumento del 12,9% sullo stesso periodo dell’anno precedente.

In Germania il panel di famiglie GfK per il 2012-2019 mostra una crescita media annua dei consumi pari al 21%. Nel 2017 i consumi hanno fatto un salto del 43%, Nel 2018 il tasso di crescita era ancora del 29% e nel 2019 l’aumento dei consumi è stato del 54%. Questo corrispondeva a una quantità di acquisto pro-capite di 663 grammi. Dal 2012 la penetrazione (numero di famiglie che acquista mirtilli almeno una volta l'anno) ha quasi raddoppiato la sua quota, arrivando al 51%.

Il consumo di mirtilli è in aumento anche nei Paesi Bassi. L’anno scorso il volume acquistato dalle famiglie olandesi è aumentato di quasi il 40%. Il mirtillo è classificato al settimo posto nella top 10 della spesa delle famiglie olandesi per la frutta fresca. 

Consumo italiano di berries 1/10 di quello inglese

In Italia la crescita annuale della categoria dei piccoli frutti può essere stimata attorno al 15-20%, ma su livelli assoluti di consumo molto inferiori a quelli dei paesi del nord Europa e degli Stati Uniti. Si stima che in Italia il consumo di mirtilli sia circa il 10% di quello registrato nel Regno Unito.

Che i consumi crescano su tutti i mercati è chiaro anche a chi produce mirtilli in tutto il mondo: alcune zone come Perù, Sudafrica, Messico, ma anche Ucraina stanno aumentando le produzioni a ritmi forsennati, facilitati anche dal fatto che nelle zone più calde le piante di mirtillo iniziano a produrre dopo poco più di un anno.

Sarebbe quindi questo il momento giusto per cambiare marcia anche in Italia, dove coesistono il grande dinamismo degli importatori (che hanno accesso 12 mesi l’anno a produzioni professionali e programmabili da tutto il mondo), il timido interesse dei produttori italiani (che stanno investendo in nuove varietà e diversificando le zone di produzione) e la resistenza della grande distribuzione, che fatica a fare proprie le azioni per sfruttare le potenzialità economiche della categoria.

Cosa ci manca

I principali ostacoli allo sviluppo del consumo dei piccoli frutti in Italia sono l’insistenza dei supermercati sul formato da 125 grammi, che caratterizza oltre l’85% delle vendite in Italia, e la mancanza di una comunicazione istituzionale che accenda la conoscenza e l’interesse dei consumatori. Basta guardare alle esperienze di Stati Uniti e Gran Bretagna per vedere che aver rimosso questi due fattori frenanti ha dato il via a una crescita tale da fare diventare in entrambi i mercati i berries la maggiore categoria del reparto ortofrutta in termini di fatturato. Nel Regno Unito i soli piccoli frutti (mirtilli, lamponi e more) vendono quasi quanto tutte le mele.

In questi due mercati avanzati, i mirtilli vengono venduti in differenti confezioni (mediamente tre o quattro formati diversi da 125 grammi a 500 grammi) e si rivolgono a diversi segmenti di mercato: nello stesso punto vendita si trovano ogni settimana mirtilli discount, premium, standard e biologici con prezzi e confezioni diverse. Ad esempio Tesco (il maggior supermercato britannico) tutte le settimane ha in assortimento una confezione di mirtilli “discount” da 125 grammi a 0,89 sterline che fa esplicitamente concorrenza ad Aldi, una premium da 150 grammi a 2,20 sterline e altre tre linee che vengono incontro a differenti esigenze dei consumatori: 300 grammi, 150 grammi e biologico.

Al contrario, in Italia è raro trovare nei supermercati più di una referenza di mirtilli, al massimo se ne trovano due (con differenziazione di formato o di segmentazione premium). Nella categoria del formato, ad esempio, Conad al momento sta vendendo un secchiello da 300 grammi e un cestino standard da 125 grammi. Per quanto riguarda la differenziazione, Esselunga ha in assortimento nella linea “Primo Gusto” una confezione di mirtilli premium da 160 grammi con un differenziale di prezzo che normalmente si assesta sul +57% rispetto alla linea standard nel 125 grammi, diventato +145% quando Esselunga ha messo in promozione il 125 grammi a 0,95 euro a confezione.

In Italia numerose iniziative di sviluppo dei consumi innescate dai fornitori hanno avuto storicamente impatti molto rilevanti sui risultati della grande distribuzione, grazie a una politica concertata di prezzi, formati, periodi, volumi e qualità. Questo evidenzia che anche il consumatore italiano è pronto ad aumentare la propria attenzione verso la categoria. Queste azioni potrebbero diventare più strutturali e per sviluppare interamente il loro potenziale dovrebbero essere sostenute da organizzazioni di categoria come il Ushbc (United States highbush blueberry council) che ha tra gli scopi statutari lo sviluppo del consumo di mirtilli e il British Summer Fruits che rappresenta il 95% degli operatori professionali britannici del settore dei piccoli frutti.

Questo permetterebbe anche in Italia di gestire gli aumenti di produzione mondiale non come momenti di crisi che impattano senza controllo sui consumi italiani (ancora ai primi passi, appunto), ma come una straordinaria opportunità per generare la soddisfazione del consumatore, profitti per gli operatori e prospettive di lungo termine per tutta la filiera. Non sarebbero esclusi i produttori italiani che potrebbero aggiungere valore all'intero processo di sviluppo: se il mirtillo italiano occupasse una nicchia di mercato “local” pari al 25% dei consumi in un contesto di consumi italiani allineati verso le media europa, ci sarebbe spazio per circa 400 ettari di produzione nazionale aggiuntiva con una remunerazione sostenibile e prezzi di vendita congrui anche per il consumatore.

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