Il presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Avellino, Ciro Picariello, interviene sulla situazione attuale del mercato delle nocciole e spiega: “Il mercato delle nocciole ha continue oscillazioni e spesso i prezzi all’azienda non coprono neppure il costo di produzione. Il settore corilicolo, dopo quasi due anni di prezzi all’azienda sotto il limite di sussistenza, sta da qualche mese vivendo un incremento che inizia a riportare maggiore fiducia nel futuro dei produttori. Si consideri che l’attuale prezzo di mercato non è ancora il prezzo che remunera correttamente il lavoro degli agricoltori, che non dovrebbe scendere sotto i 250 euro/q.le per coprire il costo di produzione. I prezzi bassi degli ultimi anni hanno portato a gestioni non ottimali dei noccioleti ed in molti casi addirittura l’abbandono, depauperando il territorio dal punto di vista economico, ambientale, di sostenibilità e di giovani”.
Dunque, la strada imboccata per la corilicoltura in Campania sembra essere quella giusta, con retribuzioni più soddisfacenti per i produttori, ma il livello di attenzione deve rimanere alto.
Per la cultivar Mortarella, in particolare, che è la più coltivata in zona, i prezzi sono passati da 190-200 euro/q.le degli ultimi anni (circa 4.9 euro punto resa) agli attuali 230-240 euro/q.le, circa 5.5 euro punto resa.
Ancora Picariello ha commentato in proposito: “L’aumento dei prezzi all’azienda delle nocciole iniziano a portare dignità al lavoro faticoso dei noccioleti, che sono sempre stati altalenanti e non hanno mai registrato un prezzo stabile, disorientando gli agricoltori”.
Durante l’ultima riunione del Consiglio dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Avellino, gli agronomi irpini hanno evidenziato anche un notevole incremento delle superfici a livello mondiale allevate a nocciolo. Negli ultimi 20 anni, nello specifico, esse sono passate da 300mila a 700mila ettari, mentre le produzioni da 200mila tonnellate ad oltre 1 milione di tonnellate. In tale contesto, la Turchia fa notoriamente la parte del leone, con quasi il 70% di produzione, mentre l’Italia è al secondo posto, con una quota tra il 20 e il 25%.