12 giugno 2020

Nuovo Presidio Slow Food, il fagiolo della regina di Gorga

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Lo chiamano il fagiolo della regina, perché leggenda vuole che la regina di Napoli, Maria Carolina d'Asburgo, ne andasse letteralmente pazza. Siamo in Cilento, nel Salernitano, e più precisamente a Gorga, frazione del comune di Stio. È qui che Slow Food ha appena lanciato un nuovo presidio, il fagiolo della regina di Gorga appunto. La leggenda che ci fa viaggiare indietro nel tempo fino all'epoca borbonica è affascinante, ma ciò che conta è il presente: la voglia di un gruppo di produttori, di tre ragazzi e un insegnante in pensione, di non far scomparire una coltura che non è un vezzo, ma una vera risorsa.
Il senso di far nascere un Presidio Slow Food sta proprio in questo: da un lato salvaguardare i frutti della terra, dall'altro riconoscere l'impegno della popolazione locale e sostenerlo per favorire un cambiamento ambientale, sociale ed economico.

Un legume per far rinascere la microeconomia locale

Presidio Slow Food Fagiolo Gorga_Archivio Slow Food

A Gorga, oggi, abitano meno di cento persone. È in questa piccola frazione, e nel vicino territorio dei Comuni di Stio, Magliano Vetere, Campora, Orria e Gioi, che è rinato questo particolare ecotipo: “Quando abbiamo cominciato sette anni fa il fagiolo veniva coltivato soltanto da qualche anziana signora di Stio, ma a livello commerciale era morto – racconta Andrea De Leo, referente dei produttori del Presidio – Abbiamo cominciato a produrne un po' di più e a partecipare ad alcuni mercati, come Leguminosa, l'evento organizzato da Slow Food Campania a Napoli, riuscendo a creare una microeconomia che vede coinvolte le poche aziende agricole del territorio e anche le signore e i giovani che lo coltivano nei loro orti”.
“In ogni paesino di questa zona tutti gli abitanti avevano un pezzetto di terra da coltivare per il proprio sostentamento – aggiunge Nerio Baratta, fiduciario della Condotta Slow Food Gelbison di Vallo della Lucania, in quest'area del Cilento – Tra le coltivazioni più diffuse, insieme alle castagne, c'era proprio quella dei fagioli: la scarsa deperibilità e la possibilità di seccarli, infatti, li rendevano un vero e proprio bene rifugio, ideali sia da scambiare sia da immagazzinare per sopravvivere ai lunghi inverni montani”.
“Tra gli anni '50 e '70 il legume era molto conosciuto, ho trovato più di un libro di ricette che citano esplicitamente il fagiolo di Gorga – continua De Leo – Ma nei decenni successivi, un po' per lo spopolamento della zona e un po' per la gran quantità di lavoro necessario per coltivarlo e raccoglierlo, il fagiolo regina è finito nel dimenticatoio”.
“Riprendere la produzione di fagioli regina – prosegue De Leo – ha due risvolti. Il primo riguarda naturalmente il prodotto, vogliamo scongiurare la scomparsa di una particolarità locale. Da noi, negli ultimi anni, si è coltivato quasi esclusivamente solo il fagiolo borlotto, perciò abbiamo impiegato sette anni per ripulire il seme. Sul lato umano, invece, la ripartenza ha dato orgoglio al paese e rinnovato il desiderio di continuare a coltivare la terra“. In altre parole: creare indotto produttivo, costruire piccole aziende.

Le caratteristiche del fagiolo regina di Gorga

Di forma tondeggiante e colore bianco perlaceo, la polpa di questo particolare ecotipo di legume è compatta e la cuticola sottile, caratteristiche che ne assicurano dolcezza ed elevata digeribilità. Tra le peculiarità della pianta c'è il suo portamento rampicante: può superare anche i tre metri di altezza e si adatta bene a diversi tipi di terreno, anche se preferisce quelli profondi, freschi, non troppo compatti e ben drenati.
Il fagiolo regina viene seminato a inizio estate, normalmente i primi giorni di luglio, e si raccoglie a inizio autunno. Il disciplinare di produzione prevede che la selezione e la riproduzione delle sementi sia fatta dai coltivatori stessi e vieta la coltura in serra o fuori suolo, l'uso di prodotti chimici di sintesi per fertilizzazione e per la difesa.
Il Presidio Slow Food del fagiolo della regina di Gorga è sostenuto dal Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e dal Comune di Stio.

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