Cambia la popolazione in Italia, cambia anche la domanda alimentare. Da tempo l'offerta, soprattutto nei grandi centri cittadini, si è in parte adeguata con l'arrivo di nuove popolazioni che hanno gusti differenti e, giustamente, ricercano, per esempio, frutta e verdura non così facili da reperire in Italia. Tempo fa ce ne occupammo su myfruit, andando a trovare uno dei punti di riferimento in fatto di frutta e verdura esotica a Milano, Kathay, un negozio situato nel cuore della China Town milanese.
Forme, colori e nomi non comuni, tutta merce di importazione che ovviamente viene venduta a cifre decisamente superiori rispetto all'origine. E se invece ortaggi esotici come okra, cilantro, piuttosto che l’ampalaya venissero coltivati direttamente là dove la domanda sta crescendo?
Un progetto, partito nel 2013, c'è già, e lo racconta l’edizione milanese del Corriere della Sera, attraverso la storia storia di Francesco Ghezzi, agricoltore brianzolo di Bernareggio, che da tre anni coltiva ortaggi esotici. Ha aderito ad un progetto di Cia (Confederazione italiana agricoltura) lombarda, finanziato anche da Fondazione Cariplo, sostenuto dall’associazione Solidarietà e Sviluppo (ASeS) e coordinato dall’Università Statale di Milano, per conoscere dieci varietà di ortaggi esotici, procurarsi i semi e sperimentare le tecniche di coltivazione.
Il bilancio, secondo quanto dichiara al Corriere Paola Santeramo, direttore regionale di Cia Lombardia e di Cia Città metropolitana di Milano, Lodi, Monza e Brianza, è positivo dopo la prima commercializzazione partita la scorsa estate: soprattuto cilantro, okra, ampalaya e daikon hanno avuto riscontri positivi da parte degli agricoltori che hanno deciso di coltivarli, altre varietà, invece, hanno trovato maggiori difficoltà anche in assenza dei giusti canali commerciali.
Potenzialmente il mercato esiste, considerando che in Lombardia gli stranieri sono più di 100mila. Nuove opportunità imprenditoriali per gli agricoltori locali, quindi, potrebbero aprirsi. Di questo ne è convinto Francesco Ghezzi “perché coltivare prodotti esotici a chilometro zero è un cambio di mentalità. È un modo per aprirsi al mondo”.
Fonte news: Corriere Milano. Credit Foto: Corriere Milano