Il “lato oscuro” dell’agroalimentare italiano. Ortofrutta inclusa. Sono quelle che Coop chiama le “filiere sporche”, un’emergenza sociale che secondo il primo attore della distribuzione organizzata italiana tocca più di 400mila lavoratori, l’80% dei quali stranieri. Lavoro nero e sfruttamento della forza lavoro con contratti non in regola, sono due degli aspetti che hanno ripercussioni anche sull’intero mercato, lasciando aperta la porta alle frodi alimentari e ad un’illegalità diffusa.
Per combattere tutto questo Coop ha presentato ieri a Roma presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, la campagna “Buoni e Giusti Coop”: un progetto che si articola su tre piani
Allargamento dei controlli sulle filiere più a rischio
Sono 13 le filiere ortofrutticole individuate da Coop come maggiormente esposte ai rischi dell’illegalità. Tenendo conto della stagionalità “si attueranno controlli sulla filiera degli agrumi, per poi proseguire con le fragole, i pomodori, i meloni, le angurie, l’uva, le patate novelle e altri 5 ortaggi di largo consumo”. In totale verranno coinvolti non solo “gli 80 fornitori ortofrutticoli di prodotto a marchio Coop”, rappresentanti di 7.200 aziende agricole, ma anche tutti gli 832 attori che forniscono ortofrutta a livello sia nazionale e locale e che coinvogono oltre 70.000 aziende agricole.
Dovranno firmare un Codice Etico, altrimenti saranno fuori dal circuito Coop. Un atto di forza per combattere sfruttamento e illegalità. I primi controlli, che sono stati effettuati sulla filiera degli agrumi (clementine e arance Navel), attraverso l’audit di Bureau Veritas, hanno interessato tre regioni – Calabria, Sicilia e Puglia – hanno dato, secondo Coop, esiti “incoraggianti”. Nessun problema di caporalato, lavoro nero o casi di discriminazione tra i fornitori Coop, quanto problemi riguardanti norme di sicurezza disattese “su cui è stato chiesto un pronto intervento”. Dopo gli agrumi toccherà fragole e pomodoro ciliegino.
Bisogna essere un’azienda “pulita”, anche se le procedure sono troppo complesse
Se sei in regola con le leggi e i contratti di lavoro, non hai riportato condanne penali e non hai procedimenti in corso sei un’azienda “pulita” e puoi iscriverti alla “Rete del Lavoro Agricolo di Qualità”, un progetto in stretto raccordo con quello lanciato a livello ministeriale già nel 2015. L’iscrizione è stata chiesta a tutte e 7200 aziende agricole del settore ortofrutticolo i cui prodotti poi vengono confezionati e venduti a marchio Coop. Non mancano, però, difficoltà perché secondo Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, “la procedura complessa sta ostacolando un’adesione massiccia. Serve una semplificazione se si vogliono raggiungere risultati significativi in tempi brevi senza inceppare la macchina autorizzativa”.
Questo progetto consente anche di affrontare il nodo dei prezzi, in un se
ttore particolarmente volatile e dove questo argomento risulta molto delicato, indicativo quando sono molto bassi di sacche di illegalità secondo Coop. “La volatilità dei mercati è elevata, ma si possono e si debbono trovare le soluzioni affinché sia i consumatori che i produttori abbiano il giusto prezzo. Come Coop siamo attenti a riconoscere ai produttori agricoli prezzi equi, non il prezzo più basso del mercato che in certe filiere nasconde l’illegalità. Va segnalato che problemi importanti nella formazione del valore dei prodotti ortofrutticoli sono sia quello dei costi intermedi e logistici (che pesano quasi il 40% sul prezzo finale) che quelli di una migliore organizzazione e aggregazione dei produttori; se ne avvantaggerebbero sia i consumatori che gli agricoltori”.
La Gdo da sola non basta, le istituzioni devono fare la loro parte.
Il 50% dell’ortofrutta italiana viene venduta dalla rete di punti vendita della Gdo, ma “’l’altro 50% sfugge al filtro della grande distribuzione” a sottolineato Stefano Bassi, Presidente di Ancc-Coop (Associazione Cooperative di Consumatori a marchio Coop). Di conseguenza, “il ruolo dei controlli pubblici è comunque un passaggio imprescindibile per il funzionamento di un sistema che voglia seriamente raggiungere obiettivi di prevenzione e repressione di un fenomeno”. È il messaggio finale mandato alle istituzioni in merito al disegno di legge fermo al Senato e che vuole contrastare i fenomeni di caporalato lavorando sia sulla deterrenza del fenomeno che sulla prevenzione. “Cogliamo questa occasione, e lo ribadiremo anche in audizione – conclude Bassi – per rivolgere la proposta di collegare l’accesso a qualsivoglia finanziamento pubblico o beneficio di natura fiscale all’iscrizione alla Rete in una logica di incentivo e sprone all’adesione. Crediamo che così facendo potremmo dotarci di una misura più efficace nella lotta comune al caporalato”.