23 settembre 2015

Ortofrutta italiana nel Regno Unito. Questa sconosciuta

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L’ortofrutta italiana è scomparsa dai reparti ortofrutta inglesi. O se c’è, si fa fatica a vederla. Quanto meno da Tesco. «Purtroppo il prodotto italiano ha perso una parte della sua importanza sul mercato inglese» sostiene Matteo Benatti, supplier relationship manager di Tesco, colosso inglese della grande distribuzione dai numeri imponenti: 500mila dipendenti, 7800 punti vendita, un fatturato di 69,8 miliardi di sterline e quotata in borsa.

Come fare a tornare sugli scaffali? La ricetta di Benatti è semplice a dirsi, probabilmente molto più difficile a farsi. Quattro i punti, elencati e illustrati con franchezza e senza troppi giri di parole dal manager italiano del colosso inglese, durante la seconda sessione del Macfrut Forum.

«Imparate l’inglese». Se volete vendere agli inglesi è condizione necessaria. Una banalità, ma che evidentemente non lo è in questo momento se compare al primo posto.

Secondo: il calendario produttivo. «Il prodotto è presente da noi 12 mesi all’anno con ovvi picchi. Da novembre ad aprile compriamo prodotto dall’emisfero Sud, il resto dell’anno dal nostro». I produttori italiani sono in grado andare incontro a queste esigenze? Non sembra. «Nel caso della frutta a nocciolo, per esempio, a stento riusciamo ad averla dal Sud Italia da maggio a giugno, nel Nord Italia da luglio a settembre. È poco. Il fornitore ideale per noi è quello che continuativamente ci fornisce merce, nel caso specifico della frutta a nocciolo (pesche, albicocche, etc) da maggio a ottobre. Ci sono troppi fornitori in Italia e tutto diventa troppo complicato».

La logistica, altro tema spinoso. «Da qui a Londra ci sono 1600 chilometri. Per gestire la distanza dovete fare come gli spagnoli che hanno investito nel creare piattaforme direttamente in Inghilterra. Riescono in questo modo a fare consegne giornaliere e, se necessario, a riconfezionare il prodotto». L’unico produttore italiano che ha fatto questo investimento in UK è Besana.

Ultimo punto: la giusta qualità. «Il consumatore inglese è diverso da quello italiano. Le aziende italiane non si sono date il tempo necessario per capire cosa volevano in Inghilterra». Ergo, siamo rimasti fuori. Non è però pessimista Benatti per il futuro. “L’importante è smetterla di lamentarsi. Fatevi trovare pronti perché la ruota gira per tutti”. Quindi, può arrivare il momento anche per i produttori italiani.

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