Non è un quadro a tinte grigie quello emerso dalla seconda giornata del Word Pear Forum, ma insieme ad un sole, non proprio caldissimo, ci sono anche un po’ di nubi all’orizzonte, alcune delle quali note da tempo.
Uno degli appuntamenti più importanti che si svolgono all’interno di Futurpera, il salone internazionale della pera che quest’anno è giunto alla seconda edizione, ha visto venerdì 17 novembre l’atto finale e, come nella prima giornata, sono saliti sul palco attori di primo piano del settore, questa volta per fare il punto su produzione, consumi e mercati.
Se la prospettiva generale non sembra negativa, dall’altro sia lo scenario dell’export che i dati forniti dagli esponenti della Gdo chiamati sul palco portano invece a raffreddare eventuali entusiasmi.
Produzione: +8% rispetto al 2016
Sul fronte della produzione dati definitivi, come ha sottolineato Gianni Amidei, presidente dell’OI Pera, non ci sono ancora a livello europeo e quindi per ora tutto è fermo alle stime estive emerse da Prognosfruit.
I nuovi aggiornamenti, ancora non definitivi, sono lievemente in rialzo anche se in linea rispetto a quelli di agosto: la produzione italiana dovrebbe attestarsi sulle 735mila tonnellate, +8% rispetto allo scorso anno, che comunque era stata un’annata deficitaria, con una crescita che tocca un po’ tutte le principali varietà. “La qualità del prodotto è molto buona perché il caldo ha portato problematiche ma anche gusto e garanzie di conservabilità. Le giacenze dimostrano un ritmo di vendite per ora normale” ha commentato Amidei.
Export: l’Europa non basta, bisogna allargare gli orizzonti
Sul fronte dell’export è toccato al presidente di Fruitimprese, Marco Salvi, fornire i tratti salienti di un scenario che sicuramente è abbastanza avaro di soddisfazioni per i produttori italiani in questo momento:
Esportiamo poco, ci siamo adagiati sui paesi vicini e siamo penalizzati da accordi che ancora non ci sono”.
L’Italia esporta solo l’8% della sua produzione con un quantitativo, nel 2016, di 152,792 tonnellate dietro paesi come l’Olanda e il Belgio che invece viaggiano da dati più che doppi. La Germania, nostro partner commerciale più importante (vale il 40% dell’export nell’Ue), è comunque in calo, anche sostanzioso se confrontato ai dati di 10 anni fa, stesso discorso per Francia e Gran Bretagna, con l’eccezione della Romania che invece apprezza ogni anno di più le nostre pere.
“Dobbiamo essere capaci di allargere gli orizzonti” ha ribadito Salvi mostrando una mappa dei possibili paesi obiettivo, in molti dei quali, però, serve l’aiuto delle istituzioni per cercare di superare dazi o barriere fitosanitarie che bloccano il nostro sviluppo. Su quest’ultimo aspetto Simona Rubbi del CSO Italy ha fatto il punto della situazione illustrando i progressi del dossier riguardante la Cina – c’è ottimismo che la situazione si sblocchi tra due anni – e poi gli sviluppi riguardanti altri paesi come Vietnam, Messico o Sudafrica.
Consumi: stima del +1% nel 2017
Per quanto riguarda i consumi le indicazioni fornite da Daria Lodi del CSO definiscono probabilmente il quadro più ottimistico tra quelli visti durante il Forum. All’interno di un quadro complessivo che vede i consumi di ortofrutta risalire la china, le pere stanno giocando un ruolo determinante con le sue 400mila tonnellate, pari al 17% dei consumi complessivi di frutta e verdura in Italia. Piace il bio (vale l’8% delle vendite) anche perché si discosta poco come prezzo dal convenzionale, il tasso di penetrazione è un po’ ovunque molto elevato anche se curiosamente inferiore proprio là dove si concentra la maggior parte della produzione nel nostro paese, vale a dire nel nord-est. Nelle previsioni di quest’anno si ipotizzano consumi alla fine superiori dell’1% rispetto al 2016, considerando che nei primi 9 mesi le pere acquistata in Italia sono state nell’ordine delle 264mila tonnellate.
Lo scenario dei consumi in Coop e Conad: più ombre che luci
La risposta della grande distribuzione è stata sicuramente più tiepida e ha riportato tutti con i piedi per terra. Questo è quello emerso sia dagli interventi di Germano Fabiani, responsabile reparto Frutta presso Coop Italia, e Paolo Pagali, buyer ortofrutta di Conad.
“Non abbiamo una tendenza così soddisfacente nelle pere, anzi, perdiamo quote a volume nell’anno solare e anche quest’anno” ha sottolineato l’esponente di Coop. Anzi, le peggiori performance si registrano in quello che invece dovrebbe essere il periodo clou, vale a dire da febbraio in poi, mentre, invece, nella stagione estiva, da maggio a luglio, con la presenza in assortimento delle stesse varietà ma di importazione i dati sono più che incoraggianti, segno che il consumatore è sì disposto a destagionalizzare “ma forse è deluso nel momento di alto consumo. Vendere meno a febbraio e marzo è in antitesi alla logica perché ci sono meno frutti a fare concorrenza e dovremmo invece verificare un’impennata delle vendite. Invece questo non succede”. Quindi, qualcosa evidentemente non funziona. Secondo Fabiani serve innovare sia dal punto di vista varietale che anche nel pakaging, usando confezioni giuste: in Coop il 40% delle pere è venduto confezionato, praticamente in controtendenza rispetto al dato che invece ha mostrato il CSO a livello nazionale.
Anche Pagani di Conad ha confermato dati non proprio confortanti: “Nonostante una lieve ripresa, i nostri dati dicono che rispetto a 10 anni fa, nei chilogrammi, l’incidenza delle pere è scesa dell’1% rispetto all’acquisto totale di ortofrutta”, Che fare? “Una strada che noi perseguiamo è quella di migliorare il posizionamento di questo prodotto, allo stesso modo di come stiamo cercando di migliorare il posizionamento della insegna in generale”.