Il drastico calo della produzione di pere non poteva che dominare parte del dibattito che si è svolto a Futurpera. Un calo che ha messo in ginocchio il settore e che rischia di far sì che il prodotto finisca prima della fine della campagna commerciale spalancando le porte alle importazioni. Sono alcuni dei temi affrontati a Ferrara durante la seconda giornata del World Pear Forum.
I numeri quest’anno dicono che l'Italia ha perso il primato europeo facendo salire sul podio gli olandesi. Dalle 934 mila tonnellate del 2011 siamo passati alle 363 mila del 2019 – seppure i dati non siano ancora definitivi – e se si guarda al 2018 eravamo a 730 mila. I dati, illustrati da Laura Stocchi del CSO Italy, hanno fatto da prologo all'analisi di una crisi dovuta alla cimice asiatica e alla Maculatura Bruna, ma non solo. La riduzione delle superfici e la disaffezione alla pera è un fenomeno che in realtà inizia almeno dieci anni fa.
Crescono poco anche in Europa, ma sono sopra la loro media storica
“L'offerta italiana 2019 è molto limitata e quella europea contenuta se si confermeranno i dati produttivi per gli altri Paesi” continua l'esponente del CSO Italy. Olanda e Belgio sono sorvegliati speciali: “dovrebbero posizionarsi su livelli inferiori a quelli elevati del 2018, ma comunque superiori alla media degli anni precedenti”. Per gli italiani c’è da “valorizzare al massimo il prodotto per recuperare, almeno in parte, il calo produttivo”.
Luca Granata (Opera): “non si recupera con i prezzi e bisogna puntare su nuove varietà”
Non è facile recuperare con il prezzo più alto quello che si è perso nei campi. “Per i produttori i prezzi sono molti buoni, dovrebbero essere sempre così, ma la compensazione avviene solo in parte” commenta Luca Granata, direttore generale di Opera, che conferma “un record negativo mai visto in passato, abbiamo il 60% in meno di giacenze rispetto al 2018 e ora dobbiamo gestire il prodotto. Cerchiamo di garantire ai nostri migliori clienti la frutta fino alla fine della campagna commerciale”. C’è da passare la tempesta ma già il prossimo anno “ci sarà un miglioramento”. Interessante il ragionamento del manager sulle varietà e in particolare sulle pere club: “oggi siamo al 2/3%, ma speriamo che cresca perché ci permette di gestire al meglio la concentrazione. E alla fine la varietà interessante la troveremo”. Ricerca e sviluppo, quindi, uno strumento da valorizzare.
Per i belgi più quantità non equivale a più reddito per i produttori
E se gli italiani piangono, qualche colpo di arresto lo subiscono anche i maggiori competitori, ovvero olandesi e belgi. Con i primi che registrano un calo del 6% a livello produttivo, anche se non è questo il problema principale, considerando che il 2018 era stato da record. Semmai, viene sottolineato, siamo in presenza di “un mercato pigro, lento, e quindi con problemi di redditività per i produttori”.
Non sappiamo esattamente quali siano le ragioni, ammette Wim Rodenburg di Groenten Fruit Huis. “Riscontriamo in Germania una concorrenza agguerrita. Nelle ultime 3 settimane molti dettaglianti tedeschi hanno offerto un prezzo di 90 centesimi al kg. C’è anche la concorrenza degli altri frutti come le mele che hanno avuto raccolte abbondanti. Si è lenti ma stimiamo buone prospettive da gennaio”.
Ottimista Marc Evrard di BFV (Belgian Fruit Valley): “Resta la quinta raccolta di sempre”. E soprattutto, lo farà nella seconda tavola rotonda della giornata stimolato dall’intervento di un piccolo produttore italiano, chiarisce che non è la quantità ad aumentare il reddito degli agricoltori: “In una ricerca che abbiamo fatto è emerso che con una diminuzione della produzione delle pere di minor valore si potrebbe avere un aumento di 0,25 centesimi al kg”. Poi negli ultimi dieci anni è triplicata la quantità del prodotto, con la metà dei produttori, ma non è seguito l’aumento della redittività. Come in Sud Africa dove si sono lanciati sulle pere, una crescita esponenziale in pochi anni, ma non portava più remunerazione”.
In Francia è vincente l'origine nazionale e regionale, in Spagna non mancano le preoccupazioni
La Francia rappresenta una case history particolare. Vengono prodotte 120 mila tonnellate di pere: 100 mila sono destinate al consumo fresco, ma ne vengono consumate 200 mila, quindi la metà è di importazione. “Ma il consumatore – spiega Vincent Guerin di ANPP – è ormai maturo. Vuole il prodotto nazionale, se non addirittura quello regionale. Cercano sicurezza alimentare, sono confortati dalle informazioni che leggono nell’etichetta”. Ecco perché “le nostre vendite da alcuni anni sono semplici, facili e soprattutto con un'interessante remunerazione per il produttore”.
La Spagna vede il segno più sul fronte quantitativo (+4%), ma non mancano i problemi. “Con la raccolta estiva si creano problemi di stoccaggio perché abbiamo le celle frigo piene di nettarine. E il mercato non va alla velocità che vogliamo, una vendita molto tranquilla” ha affermato Joan Serentill Rubio – Fepex/Afrucat.
La ricerca: le pere non sono un prodotto per giovani, anche se sono un vero superfood
Una ricerca dell’Università di Torino, condotta insieme al CSO Italy e presentata dal docente Stefano Massaglia fa il punto sulla percezione della pera da parte del consumatore. “È come la carne di agnello, che non sfonda trai giovani”. La mangiano gli over 50 e chi ha superato i 65. Anche se solo l’8% del campione non consuma mai il frutto. C’è una maggioranza di consumatori occasionali, ma anche chi la mangia spesso sa poco di IGP, sui marchi dice di conoscerli, ma poi non sa individuarli. “C’è una evidente confusione tra marchio e varietà – sottolinea il docente – . Ma soprattutto ben il 75% non le consuma fuori casa, dicono che le consumerebbero ma non le trovano e non sono buone quelle della ristorazione”. Sono tutti spunti sui quali ragionare per rendere non solo buona, ma anche attraente, la pera.
Un frutto in crisi, quindi, ma che può risolvere diversi problemi: “Se mangiata la mattina è neuro protettiva, mentre se consumata la sera migliora il metabolismo dei cibi grassi”. Questa la sintesi estrema della relazione di Maria Gabriella Marchetti dell’Università di Ferrara che apre le porte ad una “super pera” che, se valorizzata adeguatamente, può far concorrenza ai tanti superfood di successo di questo momento.