Il futuro dei pinoli? Passerà sempre di più dal lontano Oriente, dove la produzione di alcuni Paesi – Russia, Cina e Corea del Nord in primis – sta crescendo in modo esponenziale. Continua invece il momento difficile per il pregiato “Pinus Pinea”, il pinolo mediterraneo, messo in difficoltà nell’ultima decade prima da un insetto, poi da diversi incendi. Questa, in estrema sintesi, è l’istantanea sulla produzione e il consumo di pinoli che Riccardo Calcagni (nella foto), Ceo di Besana, ha tracciato durante l’ultima edizione dell’annuale Nut Fruit Conference, il congresso mondiale sulla frutta secca organizzato da Inc, International nut & dried fruit council.
Per illustrare la situazione attuale e le previsioni della prossima annata, il ceo di Besana (l’azienda è tra i fondatori di Inc) ha scelto non a caso, come sfondo del suo intervento in videoconferenza, un tipico paesaggio di macchia mediterranea, ai piedi del Vesuvio, dove erano presenti anche esemplari di Pinus Pinea, messi a dura prova negli ultimi dieci anni.
“Basti pensare – rileva infatti Calcagni – che nel 2004 i Paesi del Mediterraneo producevano complessivamente circa 5.500 tonnellate di pinoli sgusciati. Nel 2010 i quantitativi erano già calati a 5.100 tonnellate, ma il tracollo c’è stato proprio in quell’anno, quando il Leptoglossus occidentalis (noto anche come “cimice dei pini”), importato dalle Americhe, ha cominciato a diffondersi pericolosamente, tanto da dimezzare in un solo anno la produzione, che nel 2011 è arrivata a 2.395 tonnellate. A questo flagello si è poi aggiunto quello degli incendi, che sono proseguiti in tutti questi anni causando ulteriori cali di produzione. Nel 2013, ad esempio, abbiamo registrato in tutto il bacino del Mediterraneo solo 950 tonnellate di pinoli. Nel 2019, la produzione si è attestata sulle 2.040 tonnellate, ma per il prossimo anno i quantitativi sono previsti in calo: 375 tonnellate dalla Turchia (anziché le 800 dell’ultimo anno), 350 dall’Italia (anziché le 650 del 2019), 300 dalla Spagna (l’unica in risalita, dalle 250 dell’ultimo raccolto) e 100 dal Portogallo (anziché 300)”.
Il difficile momento che sta attraversando il pinolo mediterraneo si è riflesso naturalmente anche sui prezzi, che nell’ultima decade, dal 2010 al 2020, sono aumentati pur con diverse oscillazioni fino al 136%: da 28 a 66 euro al chilo. “Data questa situazione – osserva Calcagni – il mondo dell’industria dei pesti si sta muovendo sostanzialmente su due binari: da un lato sta riducendo i quantitativi di prodotto nelle confezioni, sostituendolo ad esempio con gli anacardi, dall’altro sta acquistando sempre più prodotto dal Lontano Oriente. E, ovviamente, si tratta di varietà differenti rispetto al pregiato pinolo mediterraneo”.
Dall’altra parte del mondo, in Far East, le cose stanno andando infatti molto diversamente rispetto al bacino del Mediterraneo, sebbene l’avvento della pandemia da covid-19 stia generando alcune incertezze dal punto di vista commerciale. Come ha infatti rilevato Riccardo Calcagni durante il suo intervento alla Nut Fruit Conference, sostanzialmente nel Lontano Oriente il prodotto non manca (anzi il trend è in forte crescita), ma i blocchi logistici ai confini imposti dalla Cina per via della pandemia, non danno troppe certezze ai produttori. Nello specifico, in Asia i maggiori Paesi produttori sono Russia, Cina e Corea del Nord, che sempre a livello di pinoli sgusciati potrebbero passare, nel giro di un solo anno, rispettivamente, da 5.100 a 12mila tonnellate, da 3.600 a 10.500, da tremila a 8.750. Interessanti, peraltro, anche le realtà di Afghanistan e Pakistan, che dalle 1.500 tonnellate dell’ultima annata passeranno a 2.900 e 2.800 tonnellate (fonte: Camera di Commercio Cinese per l’Import e l’Export).
“In questo caso il problema – conclude Calcagni – sono i blocchi logistici, istituiti per via della pandemia. La Cina, infatti, è il canale commerciale attraverso il quale transita la maggior parte della produzione asiatica. A causa del Covid-19, potrebbero esserci ritardi sia nella lavorazione finale del prodotto, sia nella sua distribuzione sui mercati di tutto il mondo”. Sul fronte dei consumi è stato evidenziato come l’aumento dei prezzi dei pinoli mediterranei abbia generato un progressivo calo della domanda, che nel corso dell’ultimo anno è stato aggravato dall’emergenza sanitaria. Quest’ultima, in particolare, ha impattato fortemente sull'industria dei gelati, sul settore della ristorazione e sul consumo di pinoli “on the go” (ad esempio, come ingrediente per insalate da consumare in ufficio), dato il numero crescente di lavoratori in smart working. Il calo dei consumi fuori casa è stato compensato solo in parte dalla crescita dell’home baking.