Il pinolo mediterraneo continua a essere un “osservato speciale” nell’ambito della frutta secca, in quanto è molto richiesto dal mercato, nonostante i prezzi decisamente sostenuti (circa 70 euro il chilo all’ingrosso), ma i quantitativi sono da anni ai minimi storici. Ci sono però realtà che non si arrendono: è il caso di Grassini Pinoli, che a Campo di San Giuliano Terme (Pisa) porta avanti da cinque generazioni la produzione di pinoli, raccolti all’interno del Parco naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli.
Myfruit.it ha interpellato Federico Grassini, titolare dell’attività, che porta avanti assieme ai suoi fratelli.
“La situazione del pinolo mediterraneo – spiega Federico – è critica da diversi anni. In particolare, i danni più grandi li ha creati, fin dal 2007, il cosiddetto cimicione canadese (Leptoglossus occidentalis, ndr), che tra 2014 e 2018 ha fatto scendere la produzione di pinolo mediterraneo ai minimi storici. Negli ultimi anni i quantitativi prodotti continuano a essere molto bassi, ma abbiamo notato una lieve controtendenza al rialzo. Stanno infatti nascendo diverse pine che, se si manterranno, potranno portare a un aumento della produzione tra due o tre anni. Una pina che nasce oggi, infatti, si può raccogliere solo dopo tre anni. Sempre a causa dei danni provocati dal cimicione – prosegue Grassini – è in netto calo anche la produttività della pianta: ante cimicione un quintale di pine dava circa 4 chili di pinoli sgusciati; post cimicione, se va bene, si arriva a 1 – 1,2 chilogrammi. Altri paesi europei, già da tempo, hanno introdotto l’insetto antagonista al cimicione, che la Ue per il momento ha vietato. Realtà come la Spagna, il Portogallo e la Francia, però, hanno agito in deroga e hanno effettuato diversi lanci; in Italia, invece, ci siamo attenuti alle disposizioni Ue. In ogni caso anche da noi, in Toscana, la presenza di questo insetto sembra essere calata del 90%. Ha lasciato però ancora molti danni per il fungo patogeno che ha lasciato su tante piante, e che è in grado di disseccare fino all’80% dei pinoli di una pina, diminuendo quindi nettamente la sua produttività. Il nostro auspicio, quindi – chiude Grassini – è che questa inversione di tendenza che si comincia a intravedere sia confermata anche per il prossimo futuro”.